Se questo è un titolo

Repubblica-papa-francesco

Repubblica in questo momento cerca di documentare l’intronizzazione di Papa Francesco tramite una mitragliata di link nel titolo e nel sommario. Ho fatto un conto veloce e ne ho contati 26, molti dei quali conducono a singole foto.

Ora io capisco le esigenze monetarie, di SEO, di richiamare attenzione e traffico ma al mio umile occhio di informatico e progettista web questa home page è un’accozzaglia di caratteri, niente più. Fateci caso: il testo del titolo è più alto della foto sottostante.

Si perde qualsiasi senso comunicativo, qualsiasi funzione per il cervello umano di selezione del contenuto in base ai titoli nei link e, ultimo ma non meno importante, il legame semantico tra ancora di un link (il testo su cui si appoggia il link) e contenuto della pagina di destinazione. Per intenderci, manca completamente la relazione che costituisce l’intelligenze di Wikipedia.

A mio parere il degrado dell’informazione online passa anche da queste concessioni selvagge alla ricerca di traffico e alla comunicazione urlata di tipo televisivo.

Readability: web e giornali dalla pubblicità alla lettura

Sono giorni caldi per la storia d’Italia. Un tantino e via. La mia frequentazione dei quotidiani online è decisamente aumentata e di conseguenza è stata messa a dura prova la mia sopportazione per l’impaginazione da portalone anni ’90.

Dopo la geniale trovata di impadronirsi dell’intero sfondo del giornale la novità di oggi delle fervide menti dei creativi del web ha partorito un banner a espansione che si allarga fino a metà pagina per poi chiudersi da solo, una volta assicuratosi che di prima mattina ti sia venuta voglia di fare snowboard con un’auto nuova (o almeno così ho capito io prima del primo caffé):

repubblica_pubblicità

Oggi piuttosto che leggere avrei chiuso il browser se da qualche mese non avessi avuto una comoda bookmarklet

readability_bookmarklet

che mi trasforma la pagina di Repubblica in quella di un ebook:

repubblica_readability

Leggere dovrebbe essere un diritto, e proprio ad un articolo Pennachiano di A List Apart in difesa del lettore, arc90 ha risposto con un esperimento chiamato Readability.

Si tratta di un javascript che, istallato come bookmarklet, analizza la pagina che stiamo leggendo e la riformatta secondo le nostre indicazioni per trasformarla in una pagina elegante e comoda da leggere.

Readability è un gioiellino di programmazione web, funziona egregiamente su pagine che hanno un evidente contenuto principale di testo (è inutile su tutte le home page, per intenderci) ed elimina tutto il rumore di fondo costituito sia dalla pubblicità sia dalla cattiva impaginazione, ostinatamente reminiscente dell’impaginazione su carta.

Istallato per fare una prova dopo la segnalazione di John Gruber non riesco più a farne a meno: funziona egregiamente sui maggiori quotidiani (Repubblica, il Corriere, la Stampa, l’Unità, curiosamente non va sul Giornale), praticamente su tutti i blog di WordPress e Blogger.

Punto Informatico è tornato un piacere da leggere, quasi com’era nel 1996. Niente più banner lampeggianti a metà articolo.

Fin qui il dato tecnico. Dopo qualche mese di uso una riflessione sul concetto di lettura online mi è venuta a galla. Prima di tutto la comodità percettiva: forse è l’età, forse la maggiore disponibilità di grandi monitor ma io mi trovo molto meglio con i font ingranditi ed eleganti; l’occhio più riposato, il senso estetico appagato, riesco a concentrarmi meglio su quello che leggo. La mia soglia di distrazione si è pericolosamente abbassata e così come non sopporto i rumori intorno a me, basta un titolone sparato o un richiamo di spalla per spostarmi l’attenzione.

Il secondo punto è proprio l’attenzione: più il web sposa la personalizzazione del contenuto, l’andarsi a procurare ciò che si desidera nella forma che si desidera e più l’attenzione diventa una “merce” delicatissima. Purtroppo questa merce viene contesa a suon di urli dai messaggi pubblicitari. Il cervello riceve, tramite occhio e orecchio (su web come sulla tv), degli strattoni continui e sempre più forti. In televisione il cervello sta sul binario del palinsesto e della diretta, su carta sta su quello dell’impaginazione ma sul web passeggia per i fatti suoi.

Sul web quel che conta è l’interesse, non l’attenzione.

L’interesse è duraturo, l’attenzione è momentanea: se catturi quest’ultima col tuo banner elastico e lampeggiante, a breve termine la ottieni ma a lungo termine ottieni il mio fastidio, ovvero il mio interesse negativo. Su questo i pubblicitari del nuovo millennio dovrebbero ripensare le loro strategie.

Spazzare via l’impaginazione non è un attacco o denigrazione vero chi pubblica contenuti, anzi: è un atto di rispetto e interesse, appunto. Se ti leggo, ti voglio leggere con calma, a modo mio, ripago con il mio tempo e la mia concentrazione la fatica che ci hai messo a scrivere. Se il contenuto è buono questo meccanismo di feedback virtuoso si innescherà da sé. E questo vale per i miei blogger preferiti, per gli editorialisti preferiti e anche per i notizie che “tocca” leggere.

Make good products.

Le parole sono importanti

Pago, pretendo:

non sarebbe ora di rimuovere quell’inutile e macchinoso “acca-ti-ti-pi-duepunti-barra-barra” dagli indirizzi dei siti web? O almeno sostituirlo con un’acca e basta, se siete di quelli che stanno già per obiettare che serve per eccetera?

(Via Wittgenstein via PhonkEio.)

Luca si lamenta, oltre che di cose sensate (la scomparsa dei codici regionali sui DVD) anche di cose insensate come l’abolizione del prefisso di protocollo http://.

Siamo di quelli che obiettiamo che serve per eccetera ma lo facciamo argomentando: Internet è fatta di protocolli, non di solo web. Da un web browser si possono attivare molte cose carine come ftp, telnet, news e molto altro (hai presente skype?). In un indirizzo web devi aggiungere con quale mezzo vuoi arrivarci: nave? dirigibile? aviogetto? Piccione viaggiatore? Telefono? Ecco, a quello serve l’indicazione del protocollo.

Non lo puoi omettere, non lo puoi abbreviare, perché il resto del mondo usa un’altra convenzione. Il browser tenda di azzeccarci se tu lo ometti ma non è un aiuto che si possa generalizzare a regola universale.

Sarebbe come tornare a togliere il prefisso telefonico per le chiamate urbane ora che lo abbiamo faticosamente inglobato nel numero causa groviglio di operatori fissi e mobili. Comodo se chiami in città, scomodo se devi spiegarlo a chi chiama da fuori. Io non ho nostalgia di zeroseiperchichiamadafuoriroma. E tu?

Discorso diverso per l’eliminazione del www. L’indicazione del www all’interno dell’indirizzo è un aiuto per gli umani, mentre il protocollo è una condizione indispensabile per i computer. Quando il web era appena nato ed era minoritario rispetto a gopher, ftp e telnet, era gentile spiegare che un certo indirizzo portava ad una pagina web. Oggi c’è chi è convinto che non sia più necessario.

Questo post aderisce alla prosa sbarazzina di Vanity Fair.

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