Racconti di zucchero

Dream Factories « …we’ve got a project!: “Chi era là, ha visto il laboratorio chimico ancora intatto poco prima che le ruspe lo sventrassero come i panzer di un esercito nemico. Sui tavoli c’erano i fogli con le ultime consegne, fissati nel gesto finale di chi li aveva abbandonati per un attimo, e non sapeva di non tornare più.  ”

Nei miei Google Shared Items compaiono da qualche tempo i post di Lorenzo.

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Lorenzo è un mio vecchio amico, un compagno d’università che conosco da 20 anni ma non è per questo che segnalo i suoi post.

Da ventenni aspiranti fisici eravamo abituati a lanciarci in disquisizioni sui massimi sistemi, in genere a tarda ora in osteria e ben forniti di alcolici; oppure farci lunghe passeggiate attraversando Bologna deserta una notte d’estate inanellando un flusso continuo di grandi idee e fesserie.

Poi abbiamo preso strade diverse, io ho fatto un po’ il fisico, un po’ l’informatico e Lorenzo si è avventurato nel mondo dell’industria usando la fuzzy logic negli zuccherifici.

Ci vedevamo, bene che andasse, una volta l’anno: come se fosse passato un minuto i discorsi cominciavano, e la profondità narrativa di Loal si riaccendeva.

Due anni fa, in uno di questi momenti l’ho trascinato al RomagnaCamp e ho insistito perché aprisse un blog, foce naturale di qualsiasi fiume o rigagnolo di ragionamenti.

Ora gli zuccherifici vengono demoliti per volontà europea e i racconti di Loal sono una finestra su un mondo sconosciuto, scritti con maestria e svincolati da qualsiasi logica “blogosferica”.

Ancora una volta ho trovato conferma che aprire un blog quando si hanno contenuti importanti è un beneficio grandissimo per il singolo e per i lettori.

A questo punto non mi rimane che convincere anche Luca Breccia…

Anch’io sotto l’Albero

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Con la netta impressione di essermi perso 5 anni di gite scolastiche quest’anno mi ritrovo per la prima volta sotto l’albero insieme a qualche decina di blogger radunati a suon di frusta e anatemi da Sir Squonk, che così lo spiega:

Mi piace perchè è una piccola tradizione: è nato nel 2003, quando ad avere un blog eravamo in cento, e continua ancora oggi che il blog è demodé, accerchiato e forse sorpassato da ogni sorta di altro strumento, Flickr e Facebook, Twitter e Friendfeed. A pensarci bene, sei anni sono una specie di eternità.

Mi piace perchè è una cosa seria fatta per gioco.

Mi piace perchè è un gioco fatto seriamente.

Doveva essere un post matrimoniale (nel pieno spirito della dinamica raccontata da Elena) così si disse cenando alla Blogfest, ma, per tutta e sola colpa mia, l’ho fatto l’ultima notte possibile in solitudine, causa periodaccio iperlavorativo. Dedicandolo ai tre quarti di famiglia dormiente.

E’ difficile raccontare la strana sensazione di produrre qualcosa per gli altri combattendo contro un demone semi invincibile come La Scadenza, cercando di metterci qualcosa di natalizio contenendo l’apporto di zuccheri, cercando di immaginare l’effetto che fa un racconto a gente che non ti ha mai visto né letto. A leggere i post di oggi non devo essere stato il solo ad avere questi pensieri e ad essere grato a Sergio.

E tanti auguri, noh?

Il mattino ha la privacy in bocca

Copertina del Manuale del Giovane Detective

Sono le 7:29 del mattino. Tra pochi minuti porterò fuori i bimbi (già svegli da un’ora): Ulisse al nido e Cesare alla fermata dello scuolabus.

In un paio di centinaia di metri succederanno, in ordine sparso le seguenti cose:

L’impiegato dai capelli scuri della banca sotto casa mi saluterà con un asciutto “buongiorno”, conquistato dopo un anno di incrocio di sguardi.

Incontrerò la sua collega dall’espressione triste, i lunghi capelli castani lisci, che ogni mattina esce dal giornalaio abbracciando il sole 24 ore, fumando la sua prima sigaretta ed evitando il mio sguardo. Ricorda paurosamente la ragazza depressa di What Women Want.

Occasionalmente la loro direttrice, una bella donna sui 50 anni, bionda, farà qualche convenevolo ai bimbi, ché lei ha la parlata facile. La piccola squadra aprirà quindi la filiale.

Vedrò il vicino di casa occhialuto dall’espressione depressa che sta dentro il giornalaio. Se ne andrà su una vecchia bici graziella.

Davanti al barbiere che deve ancora aprire c’è il signore elegante che esce tutti i giorni vestito di tutto punto in gessato scuro, camicia a righe, cravatta e fermacravatta, volto fresco di rasatura e lunga chioma da farsi sistemare. Ha sempre una borsa della spesa elegante, di un particolare negozio di abbigliamento, per portare due piccoli oggetti (occhiali forse?, si vedono appena dall’imboccatura).

A volte, prima del barbiere fa la fila alla posta, che si trova nello spiazzo della fermata, insieme alla piccola coda di abitudinari, già pronti con i bollettini in mano alle 8 meno 5. I vetri dell’ufficio postale ancora chiusi.

Vicino alla fermata c’è la banca nuova tutta vetri trasparenti, un acquario inaugurato da poco più di un anno, che ogni giorno viene aperto da una bellissima ragazza dal caschetto biondo tagliato al laser: fa colazione insieme ai suoi colleghi alla pasticceria di fronte, si rifornisce di sigarette al tabaccaio qui vicino e apre la filiale rigorosamente dopo averne fumata una. Potrei fare il grafico della frequenza di cambio d’abito e del Giorno del Parrucchiere tanto è ISO 9000 quella pettinatura. Per non parlare dell’utilitaria nel parcheggio condominiale, proveniente dal concessionario di Imola.

Stesso discorso, un po’ meno modaiolo per i suoi colleghi maschi. Abiti scuri elegantissimi, capigliature corte lucide di gel e scolpite con la mola a disco. Facce da primo mattino, li vedi attraverso i vetri sfogliare pigramente il sole 24 ore. E’ evidente che si spartiscono le mattine di apertura lungo la settimana.

Sui bar non diciamo niente: quelli sono luoghi di abitudinari, li frequenti e sai cosa succede senza che ciò debba stupire. Limitiamoci ad annotare le consegne che fanno le bariste, armate di vassoi e caffé al vetro ricoperti di fazzolettini di carta, negli uffici e negozi attigui.

Per non parlare di tutta la popolazione che vive alla fermata dello scuolabus: i “compagni di fermata” della materna e delle elementari sono praticamente degli amici ed è ovvio che conosca le loro abitudini mattutine.

Naturalmente vale il contrario: l’impiegato, la direttrice, il giornalaio, la biondina, il distinto signore si chiederanno chi è quel papà che tutte le mattine alterna facce sempre più stravolte e si aggira per la via con la tuta al posto dei vestiti, lottando contro due bimbi un tempo piangenti a sirena, ora litiganti per fare passeggino-pooling, spinto di corsa per prendere il bus al volo.

Tra le 7 e mezza e le 8 il quartiere si anima e tutti sembrano fare le stesse cose, sincronizzati come soldatini. Se ci vivi dentro non puoi fare a meno di (an)notarli. La gente non si nasconde, anzi: lascia tracce, mostra scritte e marchi. Non c’è niente di male a ricordarsene: nulla che da tredicenne non avessi letto ne Il Manuale del Giovane Detective.

Se fosse una canzone sarebbe una cover bolognese di Penny Lane.

Se il quartiere fosse FaceBook il Garante della Privacy chiederebbe a tutti di girare con occhiali, baffi e nasi finti.

Da qui a chiedere l’oscuramento di via Andrea Costa il passo sarebbe breve.

Vittorio Zucconi ce l’ha con Fredric Brown?

La storia si ripete: un anno fa Vittorio Zucconi celebrava i 10 anni di Google alludendo al celebre racconto di Fredric Brown.

Oggi in un pezzo di colore sull’iPhone come evoluzione ultima del concetto di computer succede la stessa cosa:

Uno scrittore americano di fantascienza immaginò negli anni 50, quando i calcolatori erano ancora grandi come vagoni ferroviari e lenti come calessi, che un giorno i potenti della Terra si sarebbero raccolti attorno al computer più potente del mondo collegato a tutti gli altri computer, per rivolgergli la domanda che ci tormenta da sempre: Dio esiste? E la macchina avrebbe risposto: “Adesso, sì”. Neppure lo scrittore di fantascienza osò tuttavia immaginare che dopo pochi anni, la “macchina di Dio” sarebbe divenuta tascabile.

Capisco la resistenza a citare direttamente il link di un blog, per non far uscire il lettore dal sito di Repubblica.it ma citare l’autore di un libro, oltretutto celeberrimo, che male fa?

Devo forse segnarmi fra 10 anni di scrivere un post tipo un celebre corrispondente dall’America di Repubblica era uso citare autori di fantascienza senza nominarli?

Filologia fantascientifica

Un classico della fantascienza raccontava, 40 anni or sono, di un nuovo supercomputer assoluto, che raccoglieva in sé tutta la conoscenza umana, attorno al quale capi di Stato e leader religiosi si raccolsero per rivolgergli la domanda alla quale nessuno aveva mai saputo rispondere: “Dio, c’è?” gli chiesero trepidanti. “Sì, ADESSO c’è” rispose Lui. Oggi conosciamo anche il nome. Google.
— Vittorio Zucconi

(Via Phonkmeister.)

Il classico in questione è l’Ultima Risposta di Fredric Brown, uno dei più grandi geni della fantascienza, maestro del racconto breve (una pagina fino a poche righe), pubblicati in italia dalla Biblioteca di Urania in Cosmolinea B1 e B2. Celeberrimo è anche Sentinella.

Nota personale: mi manca il primo (B1) chi lo avesse me lo segnali nei commenti. Grazie

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