Da che se ne ha memoria l’hub delle chiacchiere al lavoro sono le macchinette del caffé (e affini riuniti oggi sotto il cartello blu area break). Le idee mulinano, i progetti ai avviano, gli imprevisti fioccano, le prese per i fondelli abbondano.
E, come in tanti altri posti, ci si lamenta. Del traffico, della vita, di qualsiasi cosa e di quanto è cattivo il caffé. Quel caffé.
Sono dieci anni (abbondanti) che frequentiamo quelle macchinette e ci spericoliamo in improbabili distinzioni fra il caffè di quella nuova col display blu e l’orzo macchiato amaro di quella vecchia col display giallo. Inutili code si formano dinnanzi a quella che in quel momento ha la reputescion migliore, osservati mestamente dall’altra macchinetta con molti meno followers.
Fidandomi della mie infallibili papille gustative millantavo differenze fra le nostre macchinette e quelle degli Ospedali di Bologna gestiti dallo stesso vendor. Qualche centesimo di più permetteva evidentemente l’acquisto di una miscela migliore. Il caffé era il sospettato numero uno del cattivo sapore. Nonché l’unico.
L’omarino delle macchinette aveva un bel dire che c’è la stessa miscela da noi e all’Ospedale, molte facce schifate di prima mattina testimoniavano il contrario corroborando la mia teoria del complotto della miscela cattiva.
Poi, in un tiepido autunno 2010, si diffonde inarrestabile la pratica di sostituire il bicchiere di plastica della macchinetta con una tazzina da caffé portata da casa. Alcuni pionieri hanno iniziato pigiando il bottone – BEEP – sfilando lesti il bicchiere ancora lindo e infilando la tazzina al suo posto per poi devolvere il bicchiere alla comunità nel dispenser del watercooler.
Strani sorrisi soddisfatti minavano le mie certezze. E’ molto meglio con la tazzina: il caffè è buono. Seee.
Per ogni teoria esiste un momento in cui il paradigma viene messo in crisi. Stamattina mi sono fatto contagiare dal word of mouth e ho furtivamente sottratto dalla credenza di casa una vecchia tazzina in disuso. A metà mattina ho ripetuto la procedura carbonara. Primo tentativo: tazzina vuota con solo zucchero su fondo, ho scoperto che il caffè viene erogato in un punto periferico della bocchetta. Secondo tentativo andato a segno: il caffè è buonissimo.
Mentre mi riprendevo dallo stupore e dalle risate degli astanti ho realizzato che per dieci anni abbiamo bevuto una bevanda bollente aromatizzata alla plastica riscaldata. La miscela non c’entra. Il caffè è buono, diciamo decente, buonissimo lo è solo per la fascia di mercato dei caffè da macchinette.
Alla faccia del viral marketing, consideratevi contagiati. Ci incontreremo a sciacquare tazzine di varie forme e colori nei lavandini degli uffici.
(nella foto: un recipiente del giurassico accanto al sostituto del futuro)