Forse saremo uno Stato laico il giorno in cui la seconda carica del medesimo Stato, in aula, eviterà di chiamare il Papa “Santo Padre” – visto che per moltissimi cittadini non è né santo né padre – e lo chiamerà semplicemente il Papa o, meglio ancora, il “Papa dei cattolici romani”, come abitualmente si fa all’estero.
Alessandro Gigliogli – Segnali deboli dallo Stato confessionale
Sono piccole cose, certo. Da sempre però costituiscono i comportamenti di default del giornalismo e delle istituzioni italiane. C’è pure chi si commuove chiamandolo “Santo Padre”, come Bruno Vespa, specie quando ci ha parlato in diretta. Rispettabilissmo, se non lo pagassimo noi nello spazio di massimo ascolto.
Come il crocifisso nelle scuole o lo spazio spropositato dato ai funerali del precedente Papa. Mi ricordo che al momento dell’annuncio della sua morte stavo scanalando su Sky e tutti i canali di news (Fox, CNN, etc.) erano sulla diretta dell’evento. Un canale francese interrompe il suo telegiornale, dà la notizia, riassume la vita di Woyitila, tempo cinque minuti e dallo studio i conduttori dicono: beh passiamo ad altro.
Ecco: passiamo ad altro.
P.S.: già che ci siamo colleghi giornalisti, per favore, quando parlate di Padania, chiamatela cosiddetta Padania. Altrimenti dovremmo parlare con cognizione di causa di Paperopoli e Topolinia.
Update: il New York Times lo chiama pope senza neanche usare la maiuscola.