Il racconto di viaggio di Antonio Menna a Stoccolma è un pugno nello stomaco non solo per i napoletani ma per chi insegue un’idea di Italia che (ancora) non c’è ma viene inseguito da un’Italia che c’è (ancora) e non lo molla.
Il pezzo va letto tutto ma il suo nucleo più importante sta nella frase:
Ho visto ciascuno prendersi cura del suo tassello di interesse collettivo.
Puoi fare le riforme che ti pare, perseguire gli evasori, incarcererare i criminali, ripulire le strade, inondare di fondi e iniziative la città ma se chi ci abita non si sente parte di una collettività sarà tutto inutile.
Vi chiederete perché ho pubblicato lo screenshot dei pulsanti di sharing e commenti. Perché mi sembrava una bella chiosa all’intervento di Vincenzo Cosenza a State of The Net: uno stesso post ha 10mila condivisioni facebook, 271 su twitter (due ordini di grandezza in meno), nessuno su Google plus e 338 commenti.
A rebellion is a revolution without a vision. Italians, probably, don’t really need a rebellion. They need a shared vision based on facts and reality (not on ideology and reality shows): a deep cultural change, that helps them to understand their shared project, that helps rebuild a perspective and that makes them look ahead with an empirically based hope. They know they will have to work hard. And they usually do, when they know for what they are working. Thought, art and culture are to change. A rebellion is an act. A deep cultural change is a movement that is needed to transform the eventual act of a rebellion in the process of a constructive and generous revolution.
Un lungo post di analisi delle aspirazioni politiche degli Italiani impantanate nell’impotenza del presente (And cynism leads to terror or to helplessness. We had terror in the past. Now we are experiencing helplessness).
Ci sono diversi spunti di riflessione, su come siamo e su perché siamo così. Magari un punto di partenza per smettere di essere così.
La mattina in cui ci si è risvegliati declassati da S&P mi stavo chiedendo quanto ancora si potesse andare avanti con una locomotiva lanciata verso il baratro da un macchinista in coma. Come poteva essere che la fascinazione per il Capo ci mantenesse in questo abbraccio mortale.
Poco dopo ho ascoltato questo illuminante editoriale di Doppiozero raccontato da radio3:
Il problema è dato dal fatto che il corpo del Capo appare, a questo punto, inseparabile dal corpo stesso del Paese, ne è strettamente avvinto in un invincibile istinto di morte. In una delle efferate torture che i Romani infliggevano ai loro nemici, o ai cittadini condannati, il corpo di un vivo veniva legato saldamente al corpo di un morto, e poi i due fatti rotolare insieme giù da un pendio ripetendo, se necessario l’azione più volte. Si può figurare, come ha detto qualcuno, che l’Italia sia in questa posizione rispetto al corpo del Capo: qualcosa di vivo che rotola insieme a qualcosa di morto, o che tende alla Morte. Tutta la politica del corpo di Silvio Berlusconi è stata tesa a escludere la morte dal campo delle possibilità, ma, come rivela l’immagine di Majoli, la Morte tallona da presso la Vita.
L’editoriale è da leggere tutto e da incrociare con quello che ora sappiamo dalle ultime intercettazioni telefoniche e da quello che diceva Veronica Lario nel 2009.
E così capita, nell’arco delle poche ore di luce di questo 6 febbraio del cazzo, che una buona esortazione postata alle 9:48 del mattino si scontri con il peggior ricorso storico che la peggio italianità degli anni 2000 è stata in grado di produrre.
Forse ce la possiamo fare, Luca, dopo aver smesso di fare i coltivatori di orticelli, i voltagabbana, gli ossequiapotenti, gli artisti dell’arrangiarsi, i procrastinatori, i pressapochisti, i tantocipensaluisti, i sorpassatori a destra, gli evasori fiscali, gli zozzi, gli ignoranti, i protervi, i menefreghisti, i lucidasuvladomenica, i distinguisti, i correntisti, i nonvoglioesprimereunaposizionisti, i profittatori, i tantoiodipoliticanonmiinteressisti, i passatori col rosso, gli apritori di dibattiti, i dimenticatori della propria storia, i revisionisti, i limatori di spigoli, i chiuditori di un occhio, i lei non sa chi sono io, gli ho amici molto in alto, i mediatori dell’immediabile, gli alzatori di spallucce, gli eternamente miopi, gli irrimediabilmente italiani.
Non siamo un paese di merda, hai ragione: siamo un paese in ammollo. In una cloaca. E ci proviamo pure gusto.
Update: un bel post riflessivo di Mante riprende il discorso del valore del borbottìo.
L’occasione è una conversazione su uno dei temi più antichi e ricorrenti nella blogosfera: la fuffizzazione dei contenuti.
La novità in questo caso è che non si tratta di una critica dall’esterno (mainstream, giornali) verso l’interno della blogosfera ma di una riflessione interna di un veterano come Brodo. E un blogger come lui conosce tutti i meccanismi social, codalunga, filtri, conversazioni, tagging, aggregazione etc. etc. che si suppone debbano aumentare la qualità dei contenuti.
L’accusa è invece rivolta ad essi: i contenuti della blogosfera stanno peggiorando. La causa: chiunque si sente in diritto di dire la sua anche su argomenti non di propria competenza.
Se è pur vero che l’inizio di Blog Generation ritrae la rete come amplificazione delle chiacchiere da bar, è vero che si è sempre sottointesa una fiducia positivistica nella rete stessa e nei suoi partecipanti: chi scrive lo fa per partecipare all’intelligenza collettiva, per arricchire il sapere di tutti, per migliorare il social network, etc. etc. Manco tutti fossimo coscienziosi redattori di wikipedia o programmatori del kernel linux.
Errore: la rete non è una evoluzione elitaria della società ma sempre più una rappresentazione della società attuale.
Ci siamo dentro tutti: belli, brutti, dotati di idee o risuonanti a vuoto, arroganti e gentili, cazzoni e cazzari, presenzialisti e solitari, provocatori o ragionatori.
Più si abbassa il filtro all’accesso, da quello fisico della banda larga a quello della difficoltà d’uso degli strumenti, più ci ritroviamo un aggregatore degno di un centro commerciale il sabato pomeriggio.
Siamo Italiani: siamo sguaiati, caciaroni, diamo sulla voce, abbiamo la verità in tasca, siamo fatalisti, non abbiamo colpa di niente, non ci stupisce più niente, ci fidiamo di chiunque ci sappia abbindolare. Ma anche: riflettiamo, apriamo dibattiti, ci informiamo, meditiamo, non raggiungiamo mai una conclusione.
Siamo italiani e difficilmente sappiamo argomentare una discussione in maniera razionale, primato che ho sempre riconosciuto agli internauti anglosassoni. Dieci anni fa bastava confrontare i thread sui newsgroup della gerarchia it.comp.qualcosa con comp.sys.qualcosa. Oggi basta saltare da una tag di blog italiani nell’aggregatore ad una di blog stranieri.
La rete non è un filtro in entrata, è un’impastatrice di contenuti e comportamenti. Gli ingredienti che sta impastando ora sono questi. Di che ci stupiamo? Non sono troppo diversi dagli ingredienti che impasta la televisione, solo hanno combinazioni molto più numerose ed effetti nuovi.
Questi effetti sono migliori di qualsiasi impasto televisivo mainstream. Da questo punto di vista sono più fiducioso del mezzo in cui ci muoviamo. E allora sì che ridivento positivista: lasciamo decantare i blogger nostrani nel Grande Frullatore, sarà comunque meglio di Amici. Anche un lolcat è meglio, come dice Clay Shirky in questo video da vedere fino in fondo.
In un paese normale le crisi di governo non si portano da Vespa.
In un paese normale se ti indagano non attacchi la magistratura: chiedi di fare chiarezza al più presto.
In un paese normale non dici “al voto subito”, dici: finite le indagini su di me (e in fretta, non ho niente da temere) e poi votiamo subito dopo, se è ancora il caso.
In un paese normale non devi fare i conti con una legge elettorale che il paese lo paralizza, votata a maggioranza poco prima delle elezioni da chi si fa le leggi su misura (e ci prende gusto pure).
In un paese normale non fai lotte di campanile, cerchi di risanarlo questo paese malconcio.
In un paese normale ci sarebbe uno straccio di dignità.
Ma siamo in Italia. Mica cazzi.
Passeremo da indagati matrimoniali ad un condannato prescritto. Un affarone.
Non ce la meritiamo la democrazia. Facciamo come Alitalia: diamo tutto in gestione ai francesi. Con Air France sta funzionando. Pare.