Un haiku di Brent Simmons che ben riassume la contrapposizione Blogosfera/statusfera.
Twitter and Facebook are great for organizing a revolution.
Blogs are for explaining why we need one.
Anch'io col mio blog. Ecco.
Un haiku di Brent Simmons che ben riassume la contrapposizione Blogosfera/statusfera.
Twitter and Facebook are great for organizing a revolution.
Blogs are for explaining why we need one.
Confesso che ultimamente ho cliccato con poco entusiasmo sui compleanni che Facebook roboticamente mi segnala. Non tanto perché mi importasse poco della persona cui avrei fatto gli auguri ma perché mi immedesimavo in lei immaginandomi di non gradire auguri sollecitati da un reminder su un social network.
Consideravo come parte del messaggio di auguri la fatica di ricordarsi della giornata e di ritagliare un pensiero speciale per il festeggiato.
Se l’augurio è semiautomatico deve avere lo stesso valore di una newsletter (che peraltro da Vodafone mi è arrivata).
Avevo sottovalutato i 500 milioni di utenti che abitano Facebook o meglio, avevo sottovalutato il radicamento nelle possibili forme comunicative di questo social network anche da parte di chi non è così addentro la rete e la tecnologia come noi friendfeed-maniaci.
Se è vero che quel clic è facile da fare, ci sono stati 42 e più amici che si sono sbattuti per farlo e aggiungere un messaggio, lungo o corto. Sia su FriendFeed che su Facebook che su Twitter.
Sapete una cosa? Non siete stati affatto robotici e mi avete fatto un gran piacere. Così come mi hanno fatto piacere sms e telefonate che hanno completato la multicanalità del complebolso di ieri.
Mi si è confermata la rete come luogo concreto e vitale di risonanza di rapporti e legami e come rete delle possibilità sempre aperte.
Roba che se non stai attento ti arrestano l’Ego per ubriachezza molesta.
Credo che non avrò più dubbi nel cliccare sui compleanni futuri e imminenti.
Grazie a tutti. Grazie, rete.
P.S.: la giornata nel mondo reale si è conclusa con un’altra sorpresa: una bolso-sopportante che mi fa trovare 42 candeline profumate e due aiutanti per spegnerle. Grazie a voi tre. Vi amo.
(via FriendFeed accepts Facebook friend request)
Se fosse avvenuto in Italia sarebbe stato un colpo di mano agostano, invece è stato un grande rutto digestivo della new economy 2.0 (Clarence vs. Lycos cit.).
E’ veramente triste apprendere in diretta dal tuo social network preferito la sua cessione al gigante che ritieni essere IL MALE in persona.
FriendFeed ha visto proprio l’estate scorsa di questi tempi un’esplosione di socialità della blogosfera italiana che, satura dell’esperienza twitteriana come metodo di conversazione e commento, ha trovato nei commenti in diretta e nel sistema di prioritizzazione dei thread di Friendfeed il suo alveo naturale. Twitter e Facebook erano diventate solo casse di risonanza degli echi nati dai post originari su FriendFeed. Se dovevi segnalare qualcosa di interessante lo facevi lì, se dovevi scatenare una sequenza di battute, condividere un momento importante lo facevi su FriendFeed.
Ed ora?
FriendFeed.com will continue to operate normally for the time being. We’re still figuring out our longer-term plans for the product with the Facebook team. As usual, we will communicate openly about our plans as they develop — keep an eye on the FriendFeed News group for updates.
(sempre via FriendFeed Blog)
Quel for the time being racchiude tutte le incertezze possibili: che fine faranno i termini di servizio di FriendFeed? Che ne sarà dei nostri dati? Verrano usati per le profilazioni di FaceBook? Con quale autorizzazione? E soprattutto: ora dove andremo se la nuova casa ristrutturata non ci piacerà?
Da stasera vedo le recenti funzionalità social di Google Reader in una luce diversa (e tornerò a coccolare Twitter).
Incollo qui sotto la rassegna live dei post sull’argomento, non prima di aver incollato il post preferito di stasera:
On friendfeed everyone is talking about the Facebook acquisition. On Facebook, people just continue taking stupid quizzes.
P.S.: nessuno mi tocchi tumblr, almeno.
P.P.S: i veri geek sono già tutti su posterous. Bandierina piantata da un anno ma mai usato. Si accettano suggerimenti prima di migrare in massa.
John Belushi non ha attività recenti.
I messaggi automatici di FaceBook non sono privi di una loro ironia.
Diceva sempre la mia prof. di prima liceo il cui metodo didattico si basava sul saldo pilastro di leggere un paragrafetto del libro di storia, dieci righe di importanza qualsiasi, e di chiedere alla classe di commentarlo. Risultato: qualche parola balbettata e un tragico vuoto di idee sulle idiosincrasie di Pericle.
La tag mainstream del mio Google Reader mi porta stamattina su un post di Michele Santoro sul blog di Annozero. L’argomento è estremamente limitato, una precisazione sulla puntata del 23 ottobre. Sotto il post ci sono attualmente 168 commenti. Pro, contro la trasmissione, pro, contro Marco Travaglio, sulla situazione rifiuti in Campania, su molte altre cose, pochi ne ho visti su quella precisazione. Tra tutti ho notato questo commento:
UN CONSIGLIO PER TUTTI VOI !!!
Cercate di scrivere commenti più brevi per cortesia.
Non siamo qua per dimostrare di saper scrivere o di sapere le cose.
Il blog è uno strumento per esprimere una opinione….non per esibire
il proprio sapere.
Se avete questa intenzione create un vostro blog così potrete istruirci e sfogarvi in ogni modo.
GRAZIE
Che dire, 1-1 per Fabio Metitieri, il commentatore è una vox clamans in mezzo a centinaia di altri animati da ansia da forum o agorafobia da blog: aprirsi un blog è tecnicamente facile ma è un atto di coraggio verso sé stessi e le proprie opinioni non proprio alla portata di tutti.
La differenza fra gregario e leader, fra chi dice la sua ma riesce a farlo solo nella massa di un luogo di ritrovo e chi sale sulla propria soapbox nel parco è tutta a favore dei primi. Non è solo un problema di digital divide, c’è una barriera di alfabetizzazione socio-informatica da superare prima di veder crescere il numero dei blog italiani di un ordine di grandezza.
Mi ritrovavo a spiegare le basi del meccanismo bidirezionale di lettura-scrittura, vero motore del blogging ad un mio caro amico che di recente si è messo a raccontare le sue vicende americane su un blog aperto per l’occasione. Il soggiorno in America è finito ma il blog è diventato un trampolino per le idee, qualsiasi esse siano.
Mentre parlavo con lui mi sono reso conto di quanto sia importante colmare il gap fra chi gode di un blog e di una rete sociale ben avviata e chi vede l’apertura di un blog come l’antitesi della partecipazione in rete: meglio commentare un blog famoso, più facile cliccare sul “scrivi sulla sua bacheca” dentro Facebook.
E intanto ti perdi la capacità di distinguere un’informazione satellite (un commento ad un post) e un nuovo nucleo di informazione, un seme che pianti nel tuo blog con la speranza che attecchisca e cresca nel tempo.
E intanto Annozero corre ai ripari.
Sono le 7:29 del mattino. Tra pochi minuti porterò fuori i bimbi (già svegli da un’ora): Ulisse al nido e Cesare alla fermata dello scuolabus.
In un paio di centinaia di metri succederanno, in ordine sparso le seguenti cose:
L’impiegato dai capelli scuri della banca sotto casa mi saluterà con un asciutto “buongiorno”, conquistato dopo un anno di incrocio di sguardi.
Incontrerò la sua collega dall’espressione triste, i lunghi capelli castani lisci, che ogni mattina esce dal giornalaio abbracciando il sole 24 ore, fumando la sua prima sigaretta ed evitando il mio sguardo. Ricorda paurosamente la ragazza depressa di What Women Want.
Occasionalmente la loro direttrice, una bella donna sui 50 anni, bionda, farà qualche convenevolo ai bimbi, ché lei ha la parlata facile. La piccola squadra aprirà quindi la filiale.
Vedrò il vicino di casa occhialuto dall’espressione depressa che sta dentro il giornalaio. Se ne andrà su una vecchia bici graziella.
Davanti al barbiere che deve ancora aprire c’è il signore elegante che esce tutti i giorni vestito di tutto punto in gessato scuro, camicia a righe, cravatta e fermacravatta, volto fresco di rasatura e lunga chioma da farsi sistemare. Ha sempre una borsa della spesa elegante, di un particolare negozio di abbigliamento, per portare due piccoli oggetti (occhiali forse?, si vedono appena dall’imboccatura).
A volte, prima del barbiere fa la fila alla posta, che si trova nello spiazzo della fermata, insieme alla piccola coda di abitudinari, già pronti con i bollettini in mano alle 8 meno 5. I vetri dell’ufficio postale ancora chiusi.
Vicino alla fermata c’è la banca nuova tutta vetri trasparenti, un acquario inaugurato da poco più di un anno, che ogni giorno viene aperto da una bellissima ragazza dal caschetto biondo tagliato al laser: fa colazione insieme ai suoi colleghi alla pasticceria di fronte, si rifornisce di sigarette al tabaccaio qui vicino e apre la filiale rigorosamente dopo averne fumata una. Potrei fare il grafico della frequenza di cambio d’abito e del Giorno del Parrucchiere tanto è ISO 9000 quella pettinatura. Per non parlare dell’utilitaria nel parcheggio condominiale, proveniente dal concessionario di Imola.
Stesso discorso, un po’ meno modaiolo per i suoi colleghi maschi. Abiti scuri elegantissimi, capigliature corte lucide di gel e scolpite con la mola a disco. Facce da primo mattino, li vedi attraverso i vetri sfogliare pigramente il sole 24 ore. E’ evidente che si spartiscono le mattine di apertura lungo la settimana.
Sui bar non diciamo niente: quelli sono luoghi di abitudinari, li frequenti e sai cosa succede senza che ciò debba stupire. Limitiamoci ad annotare le consegne che fanno le bariste, armate di vassoi e caffé al vetro ricoperti di fazzolettini di carta, negli uffici e negozi attigui.
Per non parlare di tutta la popolazione che vive alla fermata dello scuolabus: i “compagni di fermata†della materna e delle elementari sono praticamente degli amici ed è ovvio che conosca le loro abitudini mattutine.
Naturalmente vale il contrario: l’impiegato, la direttrice, il giornalaio, la biondina, il distinto signore si chiederanno chi è quel papà che tutte le mattine alterna facce sempre più stravolte e si aggira per la via con la tuta al posto dei vestiti, lottando contro due bimbi un tempo piangenti a sirena, ora litiganti per fare passeggino-pooling, spinto di corsa per prendere il bus al volo.
Tra le 7 e mezza e le 8 il quartiere si anima e tutti sembrano fare le stesse cose, sincronizzati come soldatini. Se ci vivi dentro non puoi fare a meno di (an)notarli. La gente non si nasconde, anzi: lascia tracce, mostra scritte e marchi. Non c’è niente di male a ricordarsene: nulla che da tredicenne non avessi letto ne Il Manuale del Giovane Detective.
Se fosse una canzone sarebbe una cover bolognese di Penny Lane.
Se il quartiere fosse FaceBook il Garante della Privacy chiederebbe a tutti di girare con occhiali, baffi e nasi finti.
Da qui a chiedere l’oscuramento di via Andrea Costa il passo sarebbe breve.