Sfogo suicida

Su un blog ci si sfoga sul suicidio e su FriendFeed ci si sfoga sullo sfogo chiedendo a gran voce di leggere tutti i commenti pena la non completa comprensione dello sfogo stesso.

La differenza tra un blog e un forum sta nel post di avvio, nella dicotomia fra il thread di commenti equipotente di un forum e l’asimmetria post-commenti di un blog.

Se c’è qualcosa di rilevante nato dai commenti lo si integra in un aggiornamento del post, come in questo caso.

Difficilmente seguo lunghi thread di commenti (è un mio limite fisico), l’atomo di informazione importante sta nel post, tendenzialmente la pensa così anche Google quando ti ci conduce sopra con una frase di ricerca.

Il suicidio è un mistero della psiche umana, la cui soluzione sta solo nella testa del suicida stesso, persa per sempre peggio di una formattazione a basso livello.

Non è un argomento proibito, certo parlarne non è facile, specie se si hanno idee non dissimili da quelle esposte nel blog. Bisogna saperne parlare, è una questione di stile.

Sta di fatto, cara Rossella, che chi scrive ha avuto più di un suicidio in famiglia.

Non che questo faccia di me un esperto però, come dicevo, qualche pensiero su rabbia, motivazioni, spiegazioni l’ho fatto anch’io a suo tempo. Non troppo diversi dai tuoi.

Comunque ho letto il post, l’ho riletto, l’ho reinterpretato come da indicazioni della chiosa finale. Ho scorso velocemente le due file di commenti.

Io non credo che sfogo sia l’equivalente di un lasciapassare universale delle idee, di esenzione del filtro intellettuale che ti fa scegliere momento, luogo e modi di scrivere in pubblico.

Perché il cosa diciamo può accomunarci molto ma il come lo diciamo fa la vera differenza e spesso è rivelazione di cosa abbiamo dentro, di cosa siamo veramente.

Se un giorno, guardando la mia dashboard, mi dovessi trovare a decidere se difendere uno sfogo scappatomi per la rabbia, credo che solo un bel clic sul bottone delete mi permetterebbe di guardarmi ancora allo specchio.

Anch’io sotto l’Albero

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Con la netta impressione di essermi perso 5 anni di gite scolastiche quest’anno mi ritrovo per la prima volta sotto l’albero insieme a qualche decina di blogger radunati a suon di frusta e anatemi da Sir Squonk, che così lo spiega:

Mi piace perchè è una piccola tradizione: è nato nel 2003, quando ad avere un blog eravamo in cento, e continua ancora oggi che il blog è demodé, accerchiato e forse sorpassato da ogni sorta di altro strumento, Flickr e Facebook, Twitter e Friendfeed. A pensarci bene, sei anni sono una specie di eternità.

Mi piace perchè è una cosa seria fatta per gioco.

Mi piace perchè è un gioco fatto seriamente.

Doveva essere un post matrimoniale (nel pieno spirito della dinamica raccontata da Elena) così si disse cenando alla Blogfest, ma, per tutta e sola colpa mia, l’ho fatto l’ultima notte possibile in solitudine, causa periodaccio iperlavorativo. Dedicandolo ai tre quarti di famiglia dormiente.

E’ difficile raccontare la strana sensazione di produrre qualcosa per gli altri combattendo contro un demone semi invincibile come La Scadenza, cercando di metterci qualcosa di natalizio contenendo l’apporto di zuccheri, cercando di immaginare l’effetto che fa un racconto a gente che non ti ha mai visto né letto. A leggere i post di oggi non devo essere stato il solo ad avere questi pensieri e ad essere grato a Sergio.

E tanti auguri, noh?

Commentiamo insieme

Diceva sempre la mia prof. di prima liceo il cui metodo didattico si basava sul saldo pilastro di leggere un paragrafetto del libro di storia, dieci righe di importanza qualsiasi, e di chiedere alla classe di commentarlo. Risultato: qualche parola balbettata e un tragico vuoto di idee sulle idiosincrasie di Pericle.

La tag mainstream del mio Google Reader mi porta stamattina su un post di Michele Santoro sul blog di Annozero. L’argomento è estremamente limitato, una precisazione sulla puntata del 23 ottobre. Sotto il post ci sono attualmente 168 commenti. Pro, contro la trasmissione, pro, contro Marco Travaglio, sulla situazione rifiuti in Campania, su molte altre cose, pochi ne ho visti su quella precisazione. Tra tutti ho notato questo commento:

UN CONSIGLIO PER TUTTI VOI !!!
Cercate di scrivere commenti più brevi per cortesia.
Non siamo qua per dimostrare di saper scrivere o di sapere le cose.
Il blog è uno strumento per esprimere una opinione….non per esibire
il proprio sapere.
Se avete questa intenzione create un vostro blog così potrete istruirci e sfogarvi in ogni modo.
GRAZIE

Che dire, 1-1 per Fabio Metitieri, il commentatore è una vox clamans in mezzo a centinaia di altri animati da ansia da forum o agorafobia da blog: aprirsi un blog è tecnicamente facile ma è un atto di coraggio verso sé stessi e le proprie opinioni non proprio alla portata di tutti.

La differenza fra gregario e leader, fra chi dice la sua ma riesce a farlo solo nella massa di un luogo di ritrovo e chi sale sulla propria soapbox nel parco è tutta a favore dei primi. Non è solo un problema di digital divide, c’è una barriera di alfabetizzazione socio-informatica da superare prima di veder crescere il numero dei blog italiani di un ordine di grandezza.

Mi ritrovavo a spiegare le basi del meccanismo bidirezionale di lettura-scrittura, vero motore del blogging ad un mio caro amico che di recente si è messo a raccontare le sue vicende americane su un blog aperto per l’occasione. Il soggiorno in America è finito ma il blog è diventato un trampolino per le idee, qualsiasi esse siano.

Mentre parlavo con lui mi sono reso conto di quanto sia importante colmare il gap fra chi gode di un blog e di una rete sociale ben avviata e chi vede l’apertura di un blog come l’antitesi della partecipazione in rete: meglio commentare un blog famoso, più facile cliccare sul “scrivi sulla sua bacheca” dentro Facebook.

E intanto ti perdi la capacità di distinguere un’informazione satellite (un commento ad un post) e un nuovo nucleo di informazione, un seme che pianti nel tuo blog con la speranza che attecchisca e cresca nel tempo.

E intanto Annozero corre ai ripari.

Il buon blog è fatto di paragrafi

Una lista compilata da Merlin Mann in seguito ad una richiesta di consulenza per il nuovo servizio Blogs.com di Six Apart.

Sono 9 punti, tra cui campeggia il mio preferito:

4. Good blog posts are made of paragraphs. Blog posts are written, not defecated. They show some level of craft, thinking, and continuity beyond the word count mandated by the Owner of Your Plantation.

La divisione in paragrafi mi è sempre piaciuta: da quando ho scritto la tesi in LaTeX, ai primi esperimenti con l’HTML (entrambi i linguaggi isolano i paragrafi con righe vuote, nel rendering della pagina) ho trovato questa forma di divisione atomica delle unità di informazioni particolarmente utile nella lettura.

Mi è sempre parso di capire che fosse una tendenza anglosassone. Da noi si cerca invece di scrivere documenti il più simili possibile a un libro stampato.

Faccio molta fatica a leggere i blog che non vanno mai a capo, colpendoti negli occhi con quel “mattone di inchiostro”. Naturalmente faccio eccezione per gli amici più cari e le compagne di vita.

La lettura a scansione, indispensabile quando si seguono molti blog, è molto più difficile senza una corretta divisione in paragrafi.

Gli altri elementi della lista di Merlin sono focalizzati sulla forza della personalità del blogger e sulla determinazione a innovare e a coltivare i propri argomenti preferiti. Condivisibile ma decisamente ispirata al “darci dentro”, al “farcela a tutti i costi” che caratterizzano il modo di fare d’oltreoceano.

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I blog come proiezione del sé

Scrivere su un blog significa (pensare di) raccontare cose tue a persone che non conosci e che leggendoti penseranno di farlo, mentre tu rimarrai all’oscuro anche della loro esistenza. Ma davvero raccontiamo qualcosa di noi? La scrittura è un mediatore in/consapevole: io quando scrivo davvero non so chi è che parla, chi è che sceglie cosa dire, certo non so perché alcune cose le scrivo e altre no.

Questo bellissimo post di Mafe ha riacceso una serie di riflessioni che la mia mente sta impastando insistentemente in questo periodo.

Conscio di quanto tempo sono in grado di perdere su una passione sociale come il blogging, spesso mi sono chiesto “perché lo faccio?” Ma soprattutto “cosa c’è di così interessante nei blog?”.

Mettiamo da parte per un attimo la blogosfera del gossip, gli eventi, le foto degli eventi, le chiacchiere, le dietrologie, le news tecnologiche, l’iPhone. Cosa resta?

Resta una rete di persone che scrive e si legge più o meno regolarmente, che riflette su sé stessa e il mondo (siano le notizie mainstream dei siti dei maggiori quotidiani, siano notizie di nicchia, sia un episodio capitato dal lattaio sotto casa).

Cosa c’è di così interessante da tenermi incollato dal feed reader?

Ci sono le persone.

Ci sono i punti di vista, le loro idee, la loro peculiare maniera di raccontarle o di commentarle.

Più vado avanti a conoscere il fenomeno della blogosfera, più mi appassiona conoscere persone, quelle che mi piacciono, quelle che mi lasciano indifferente, quelle speciali, quelle che ti danno la scintilla di genialità nei loro post. Quelle che ti fanno capire le cose meglio di te.

Sono fortemente convinto che tenere un blog sia una forma di proiezione del sè.

Non è detto che sia una proiezione integrale: possono essere dei flash, proiezioni parziali, proiezioni deformate, frammenti. Sono comunque parti di noi che regaliamo al mondo nei nostri blog, perdendone immediatamente il controllo per affidarlo al Grande Impastatore della Rete, Google.

Proiettiamo noi stessi con il template che scegliamo, fra i mille della template gallery o tenendoci quello di default.

Proiettiamo noi stessi con la frequenza dei post, o la frequenza dei commenti nel nostro blog e in quello altrui (invadenti, timidi, controllori del proprio spazio, istrioni).

Proiettiamo noi stessi con lo stile dei nostri titoli.

Proiettiamo noi stessi con la tipografia dei nostri post, andando a capo spesso, non andandoci mai, blindati nel nostro rettangolo di caratteri, riempiendo il post di link a fonti esterne.

Proiettiamo noi stessi scegliendo dove postare, articolando il nostro modo di raccontare fra blog, foto, chat e servizi come twitter e friendfeed. Dimostrando ordine e meticolosità o caos creativo, aprendo nuove piste o facendo i gregari.

Proiettiamo noi stessi nelle scelte degli shared items, o dei reblog su tumblr o nelle altre forme di segnalazione di contenuti. Come un regista che non fa anche l’attore, non lo vediamo mai davanti alla macchina da presa ma ne cogliamo lo sguardo nelle scelte stilistiche: ritmo, sceneggiatura, dialoghi, montaggio, inquadrature.

Infine, proiettiamo noi stessi nella scrittura, elemento che potrebbe stare in cima a questa lista ma che ho voluto mettere in fondo per sottolineare il suo possibile ruolo di elemento di una tavolozza del sé: i contenuti della nostra scrittura possono non appartenerci, non rivelare nulla di noi in senso diretto ma al contempo dire molto della nostra personalità, della scelte che facciamo nella forma, nel fraseggio, nel risalto di un argomento rispetto ad un altro.

Ci sono blogger che cercano evidentemente di dissimularsi dietro la scrittura o di mostrare solo le parti di loro con più appeal.

Secondo me è una partita persa a tavolino. Occorre un editor per questo, qualcuno che ti guardi da fuori e scelga che merce mostrare di te.

Si possono mantenere privati gli avvenimenti della vita privata pur esponendo il sé nel proprio blog e con questo leggere i propri comportamenti mescolati a quelli degli altri. Ci si impara moltissimo e non ci si perde niente.

Lascia i tuoi dati e verrai richiamato

Più sintetico di Gaspar, Brodo stigmatizza lo stile poco 2.0 dei blog mainstream:

Lo dico qui perché per commentare dall’altra parte ci si deve registrare, bisogna mettere nome cognome luogo data di nascita codice fiscale misura delle mutande e mappa dei nei, e io sono pigro.

L’occasione è una conversazione su uno dei temi più antichi e ricorrenti nella blogosfera: la fuffizzazione dei contenuti.

La novità in questo caso è che non si tratta di una critica dall’esterno (mainstream, giornali) verso l’interno della blogosfera ma di una riflessione interna di un veterano come Brodo. E un blogger come lui conosce tutti i meccanismi social, codalunga, filtri, conversazioni, tagging, aggregazione etc. etc. che si suppone debbano aumentare la qualità dei contenuti.

L’accusa è invece rivolta ad essi: i contenuti della blogosfera stanno peggiorando. La causa: chiunque si sente in diritto di dire la sua anche su argomenti non di propria competenza.

Penso che ci sia del vero in questo (e, visto che va di moda fare i falsi modesti, potrei aggiungere questo blog ne è una prova) ma che non risieda nella blogosfera in sé ma nella italianità dei suoi componenti.

Se è pur vero che l’inizio di Blog Generation ritrae la rete come amplificazione delle chiacchiere da bar, è vero che si è sempre sottointesa una fiducia positivistica nella rete stessa e nei suoi partecipanti: chi scrive lo fa per partecipare all’intelligenza collettiva, per arricchire il sapere di tutti, per migliorare il social network, etc. etc. Manco tutti fossimo coscienziosi redattori di wikipedia o programmatori del kernel linux.

Errore: la rete non è una evoluzione elitaria della società ma sempre più una rappresentazione della società attuale.

Ci siamo dentro tutti: belli, brutti, dotati di idee o risuonanti a vuoto, arroganti e gentili, cazzoni e cazzari, presenzialisti e solitari, provocatori o ragionatori.

Più si abbassa il filtro all’accesso, da quello fisico della banda larga a quello della difficoltà d’uso degli strumenti, più ci ritroviamo un aggregatore degno di un centro commerciale il sabato pomeriggio.

Siamo Italiani: siamo sguaiati, caciaroni, diamo sulla voce, abbiamo la verità in tasca, siamo fatalisti, non abbiamo colpa di niente, non ci stupisce più niente, ci fidiamo di chiunque ci sappia abbindolare. Ma anche: riflettiamo, apriamo dibattiti, ci informiamo, meditiamo, non raggiungiamo mai una conclusione.

Siamo italiani e difficilmente sappiamo argomentare una discussione in maniera razionale, primato che ho sempre riconosciuto agli internauti anglosassoni. Dieci anni fa bastava confrontare i thread sui newsgroup della gerarchia it.comp.qualcosa con comp.sys.qualcosa. Oggi basta saltare da una tag di blog italiani nell’aggregatore ad una di blog stranieri.

Insofferenza alle regole, da quelle tipografiche (il quoting, il maiuscolo), a quelle logiche (perché dico una cosa, che argomenti ho a mio favore), a quelle diplomatiche (se non so come difendermi attacco la controparte) a quelle strategiche (non so come vincere una discussione, do’ addosso pur di non rinunciare).

La rete non è un filtro in entrata, è un’impastatrice di contenuti e comportamenti. Gli ingredienti che sta impastando ora sono questi. Di che ci stupiamo? Non sono troppo diversi dagli ingredienti che impasta la televisione, solo hanno combinazioni molto più numerose ed effetti nuovi.

Questi effetti sono migliori di qualsiasi impasto televisivo mainstream. Da questo punto di vista sono più fiducioso del mezzo in cui ci muoviamo. E allora sì che ridivento positivista: lasciamo decantare i blogger nostrani nel Grande Frullatore, sarà comunque meglio di Amici. Anche un lolcat è meglio, come dice Clay Shirky in questo video da vedere fino in fondo.

Update: sistemati un paio di link.

Lunghezze caratteristiche e comportamenti medi

Antonio scrive delle analisi caustiche interessanti ma che mi finiscono sempre nel tag “da leggere” di Google Reader perché sono troppo lunghe.

Sono convinto (anche autobacchettandomi) che i post debbano avere una loro lunghezza tipica. Qualcosa più degli atomi di tumblr e molto meno delle macromolecole dei trattati di suz (Suz, dovresti provare uno dei plugin che aggiungono il conteggio parole al titolo del post).

Non è una regola ma ci va molto vicino. Diciamo una best practice che nasce da come io leggo i blog: tanti, troppi feed aggregati che promuovono una lettura frettolosa e a salti. Non è una cosa buona in sé (infatti mi manca una lettura approfondita) solo un dato di fatto di un certo modo, credo condiviso, di essere blogger.

Sono anche convinto che ci siano dei tratti comuni tra le varie espressioni del web 2.0 ma che non siano propri dei mezzi scelti quanto piuttosto dell’uso sociale che ne viene fatto.

Non conta quanto buoni siano gli aperitivi del bar fighetto, conta quanti amici ci vanno. Se vanno nell’osteria laida finisce che ci vai anche tu e non ne potrai più fare a meno.

Less is more non è solo un dettame simil-zen, ma forse il frutto di una somma di comportamenti. Scegliere una piattaforma con meno feature, rinunciare ad una possibilità come quella di scrivere post lunghi, può essere una scelta forzata o anche solo “caldamente invitata” dalla comunità. Vi ricorda niente coltura microbica?

In fisica teorica gli integrali di cammino sono uno shock illuminante secondo solo alla scoperta della Meccanica Quantistica. Anche in meccanica classica la Lagrangiana può nascere come minimo del funzionale lineare ma alla fine è un “binario” ottenuto in maniera deterministica. Una misura di probabilità ottenuta sommando tutti gli stati possibili è invece una similitudine più adatta a quello che ci sta succedendo sulla rete.

Credo che ci tornerò più avanti, con maggiore dotazione di caffeina.

It was 5 years ago today

Cinque anni fa questo blog vedeva la luce a partire dalla voglia di giocare con Radio, della prima intuizione sulla pubblicazione personale online e soprattutto dalla voglia di rispondere per le rime a Gianluca Neri che in un 42 di Clarence se la prendeva con i doppiatori italiani.

In 5 anni Clarence è scomparso, il sottoscritto ha messo su famiglia (la cui avventura à narrata nell’unico dei nostri blog che vale la pena leggere) e questo blog è rimasto in piedi nonostante tutto, privo dell’ABC del buon blogger, dal blogroll ad un minimo sindacale di decenza nella regolarità dei post.

A questo punto avrei la patente per dire la famosa frase che ho sempre letto sui blog più famosi:

ho conosciuto un sacco di gente interessante, sono circolate un sacco di idee, etc.

e invece devo ammettere più onestamente che la maggior parte delle cose le ho imparate nell’ultimo anno, quando la partecipazione attiva ad una rete sociale e al mio primo barcamp ha sostituito le elucubrazioni teoriche. Ho effettivamente imparato un sacco di cose ma elencarle freddamente mi dava l’impressione delle perle di saggezza di Renzo nel finale de I Promessi Sposi.

Meglio una serie di post. Del confronto 1.0 vs. 2.0 ho piena la draft folder. Devo solo cominciare a svuotarla, un posticino alla volta.

Sarà un caso che ho finito La Coda Lunga pochi minuti fa? Sarà un caso che sono in piena dissenteria? Mi voglio decidere a parlare dei doppiatori?

Ai posteri l’ardua sentenza. Frattanto grazie a tutti di essere passati di qua, su un blog che io non leggerei mai.

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