Quella foto per Freak

Beatles by Norman Parkinson

30 anni fa a Bologna c’era un negozio di fotografia in via Volturno. Un gran bel piccolo negozio, figlio di un altro grande negozio che esiste tuttora, che aveva l’unica sfortuna di trovarsi sulla traiettoria casa-scuola di un giovine bolso di sedici anni preso tra due sue grandi passioni (manie, per meglio dire): i Beatles e la fotografia.

Erano gli anni 80, i più giovani faticheranno a capire che si trattava di due passioni ardue da perseguire: quella musicale doveva limitarsi a ellepi e cassette da comprare con la propria paghetta, qualche speciale televisivo e un paio di libri, la seconda era una scalata verticale economica, un vortice risucchia-risparmi alimentato da reflex, pellicole, sviluppo e stampa, ingrandimenti, manuali e la lettura religiosa dei 120 fascicoli settimanali dell’enciclopedia Obiettivo Foto.

Niente Google immagini, niente iPhone, niente iTunes, niente youtube, niente di niente.

Rimediare una foto in più dei propri idoli voleva dire cercare un poster da Ricordi in via Ugo Bassi o spulciare vecchie riviste. Stampare una foto voleva dire fare i negativi, i provini, ordinare l’ingrandimento e aspettare.

Un pomeriggio come tanti passo dal mio negozio di fotografia preferito e rimango ipnotizzato da un cartoncino pubblicitario della Ilford: sfondo nero, i quattro volti dei Beatles e nient’altro. Una foto stupenda, mai vista prima da me, era appoggiata dietro alcuni obiettivi da reflex di seconda mano.

Cerco tutto il coraggio necessario a superare la mia timidezza adolescenziale e chiedo tremante se posso avere in prestito la foto per… rifotografarla. In un colpo solo posso far convergere due manie: riprodurre una foto dei Beatles e mettere in pratica le tecniche di ripresa in luce artificiale studiate in uno dei 120 fascicoli settimanali.

Manuela acconsente, si arrampica su uno sgabello, apre la vetrina e si mette a spostare obiettivi e accesori. Il compito non è agevole. Il cliente ha sempre ragione, specie quello che passa di lì – impietosamente – tutti i pomeriggi, ma alla fine sbuffa:

Giacanelli, lo faccio solo perché sei tu.

Arrosisco, la ringrazio e chiedo una Ilford FP4 per la riproduzione.

A casa allestisco il mio mini studio fotografico, scansando libri e giochi dal tappeto e appoggio la preziosa reliquia contro l’armadio bianco, lo sfondo più neutro che potessi rimediare. Una lampada da tavolo e un’abat-jour piazzate ai lati mi fanno da illuminazione professionale. Prendo un cavalletto da tavolo e ci piazzo la mia Yashica FX-D Quartz.

Credo di aver fatto almeno una ventina di scatti, forse ho adoperato tutti e 36 i fotogrammi per una foto immobile, variando l’esposizione in più o in meno come da manuale. Uno scatto finale da lontano come ricordo del set-up. Il giorno dopo porto il rullino a sviluppare al negozio. Riporto il prezioso reperto che torna al suo posto.

– I provini sanno pronti venerdì.

– Grazie ancora di avermelo prestato.

Venerdi ripasso, mi guardo i provini di 20 foto identiche per investire la paghetta nell’unico ingrandimento 20×30 che potevo permettermi. Elisa mi dice:

– Senti, ti dispiace se ne faccio fare una in più? Me l’ha chiesta un altro cliente.

Avrei fatto qualsiasi cosa per sdebitarmi.

– Figuratevi… Certo, fate pure!

Passano i giorni di rito in attesa dell’ingrandimento. Quando vado a ritirarlo nel piccolo negozio ci sono quattro persone che nascondono il bancone. Elisa mi vede, mi indica e uno di loro si volta:

– Ciao, grazie per questa foto, sai: siamo ammiratori sfegataaaati dei Beatles!

Ciao Freak, 30 anni dopo quella foto è ancora per te.

A splendid time is guaranteed for all

Tra 60 minuti Apple svelerà il mistero dietro l’annuncio che ha oscurato 21 home page dei suo siti nazionali. (con due traduzioni diverse per la parte italiana).

Secondo il Wall Street Journal Il catalogo dei Beatles dovrebbe sbarcare su iTunes, secondo molti si tratterebbe di un iTunes on the cloud.

Ai Beatlesiani come me batte forte il cuore, anche se abbiamo al sicuro nell’armadio i vinili originali, i CD originali degli anni ’80, le Antologies, i CD rimasterizzati dell’anno scorso e relativi file audio importati in iTunes.

Tutti gli altri stanno dicendo “embe’, tutto qui”?

A costoro, specie a quelli cui manca un enzima, come dice Roberto, vorrei spiegare qualcosa.

Essere Beatlesiani non è una scelta, è una malattia.

Si viene contagiati senza neanche accorgersi. Al contagio segue una sfrenata, felice, allegrissima dipendenza che non finisce mai.

Un Beatlesiano ascolta una canzone, una porzione di canzone, un accordo come un amante della montagna non smette di guardare la sua vetta preferita in una giornata di sole.

Un Beatlesiano d’annata non è un più un fan adolescente, non gliene frega niente del pettegolezzo inedito ma è capace di eccitarsi per qualunque cosa faccia rivivere il suo sogno, quel sogno durato poco meno di un decennio e mai vissuto di persona.

Per un Beatlesiano i Beatles non sono un gruppo musicale qualsiasi, non sono neanche i rivali dei Rolling Stones, non li paragona a nient’altro. Sono una passione pura e semplice. Un pezzo di storia della musica, un’ininterrotta cascata creativa.

Per un Beatlesiano il treno di A Hard Day’s Night non si è mai fermato e lo Yellow Submarine naviga ancora tra il Mare dei Mostri e il Mare dei Buchi.

Un Beatlesiano che sia anche malato di Apple da 20 anni ha due passioni parallele, anzi due malattie parallele. A lungo vi ha trovato affinità e a lungo si è crucciato nel vederle contrapporsi a suon di tribunali.

Difatti il Beatlesiano Applemaniaco sa che neanche un sonnambulo confonderebbe la mela verde con la buccia dei Beatles con la silhouette monocolore di quella di Apple, Inc. e sono anni che spera che si mettano d’accordo, ellamiseria.

Il Beatlesiano ha sempre sorriso quando cambiava i suoni di sistema e sceglieva sosumi.

Il Beatlesiano Applemaniaco si ricorda quando presentando il primo iPod Steve Jobs ha suonato uno dei due brani scelti da A Hard Day’s Night.

Il Beatlesiano Applemaniaco gioirà, se fra 40 minuti vedrà i ragazzi su iTunes perché due pezzi del suo puzzle del cuore andranno insieme. E magari deciderà di svenarsi di nuovo se proprio proprio ci fosse qualche nuova bonus track.

Perché il sogno, digitalizzato, avrà un nuovo sussulto di vita.

I have another clue for you all

Buon compleanno, John e buon concerto domani con un po’ di amici.

Anche Google se ne è ricordato con un loghettino

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e un doodle video:

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E non escluderei che domani Apple faccia lo stesso come quando dedicò la home a George, comparso nel dicembre 2001.

Ci si sente sempre un po’ cretini e un po’ malati cronici, a ricordarsi del tuo compleanno come i fan della prima ora. Per fortuna ci si consola con un but I’m not the only one. Se lo fa Google, lo fa il mondo intero.

Del resto c’è chi festeggia il compleanno di Beethoven, e noi siamo fra questi. Alla faccia di chi non ci capisce.

Stammi bene, John e, per favore, rimani per sempre il ragazzaccio che tutti ricordiamo.

I giradischi non suonano da soli

Cartello MediaWorld sui giradischi che non suonano da soli

Quando l’ho visto pensavo fosse un effetto dello stordimento da passeggiata in grande centro commerciale durante le vacanze natalizie. Poi ho pensato che fosse una battuta sardonica degli addetti alla sala ascolto hi-fi del negozio: non si trattava certo un di un piatto di riferimento Thorens ma solo di un giradischi USB per importare i vecchi vinili direttamente in digitale.

Infine, tristemente, l’ho presa come un segno dei tempi: le masse, le greggi, di persone che vanno in un megastore non sanno che un tempo esistevano gli impianti hi-fi a componenti separati, abituati al pollice sul tasto play del lettore mp3, probabilmente pensano che il suono esca da qualche parte arrangiandosi da sé.

Portiamoci t a + 10 anni, anzi basta un + 5 anni: un lettore USB 3 di CD/DVD da 49,99 euro su uno scaffale ci intimerà di non avvicinarci senza un collegamento ad Internet e la nostra Cross Platform MusicID, altrimenti non suonerà da solo il vostro dischetto di plastica iridescente.

P.S. ieri sera, la giovine 35enne che mi stava tagliando i capelli mi ha rivelato che sua madre possiede un disco originale dei Beatles, Get Back:

non mi ricordo più, quelli piccoli erano… come si dice? A 45 o a 33…? Beh, nella casa nuova lo incornicerò perché è troppo bello…

Il viaggio nel tempo con gli AppLE PIES a Brentonico

From Me To You

From Me To You

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Mi è toccato fare il fan fino in fondo ma non me vergogno: vic aveva preavvertito Luca, il batterista degli Apple Pies cui ho dovuto portare i suoi saluti.

Una buona ora di chiacchiere, fumando sigarette sotto la pioggerellina brentegana, ha chiuso due ore di performance beatlesiana (gli Apple Pies preferiscono non chiamarlo concerto). Il tipico incontro tra fan: ma l’occhio a mezz’asta di Paul lo fai apposta o è tuo? No, in effetti c’è un po’ di studio… e la posizione delle gambe nella parte 1963? E’ colpa degli stivaletti? No, anche quella l’abbiamo imparata guardando i DVD… E comunque all’Hollywood Bowl dicono “One was black and white and one was coloured” eggià, eggià. E l’errore nell’assolo di Please Please me era voluto, mica me la contate giusta… anche quello, conferma ManuPaul.

Ticket To Ride

Hanno inciso nello studio 2 di Abbey Road, questi ragazzi, confessando un tonfo allo stomaco che li ha presi come al sottoscritto davanti alla porta degli studios molti anni fa. E si parla del perché a noi fan succede così, del perché nasce il bisogno di rievocare con precisione del modellista che ricostruisce un B-17 fino all’ultimo finestrino.

Perché con i Beatles è così, perché – dico io – c’è stata una meraviglia in un passato non vissuto, inesorabilmente terminata e che ogni fan vorrebbe far rivivere, a costo di rapire il Doctor Who e viaggiare nello spazio tempo anche solo per un attimo. Sentire I’ll Be Back in 3/4 in Anthology 2 ti fa sbirciare i Beatles dal buco della serratura. E per pochi minuti la magia ritorna e tu se lì con loro. Questo è lo spirito dei fan.

Non è il museo delle cere come temevo all’inizio, i ragazzi si danno un limite alla somiglianza fisica, alle mosse, e perfino all’aderenza filologica delle canzoni. ManuPaul non intende suonare il basso con la sinistra, Luca si tiene il fisico che ha. Nessuno, parafraso io, intende diventare il tristerrimo sosia si Elvis che anima i casino di Las Vegas.

Hoffner bass

Studiano le canzoni ascoltando i dischi (e anni addietro, le cassette), non si basano sugli spartiti, che tuttavia consultano. Insieme concordiamo che al tempo di youtube è tutto più facile ma essere Beatle Fan negli anni ’80 voleva dire non sapere il vero colore della chitarra di George Harrison o fotografare il video della TV in mancanza di videoregistratore quando la RAI mandava lo spezzone di un concerto.

E il loro concerto anzi, performance, è trascinante: parte in sordina, con i primi pezzi della Beatlemania dal 1963 al 1965 eseguiti con rigore filologico di note, coretti e introduzioni con accento di Liverpool (quelle che si sentono nei DVD, mica inventate). Partono con From Me To You, Please Please Me poi vanno su I Want To Hold Your Hand, She Loves You, All My Loving.

Beatles boot

Le note ci sono tutte, le mosse anche, i vestiti seriosi e attillati pure con tanto di stivaletti. Non sono i Beatles, certo ma ti regalano qualcosa: ti danno una gocciolina di emozione di quello che avrebbe dovuto essere trovarsi là in quel momento. Oggi ci sono i DVD, ma non è come stare di fronte al sound di un concerto dal vivo. Mi si passi il paragone blasfemo: è come mangiare in un ristorante italiano all’estero… quando l’Italia dovesse non esistere più, sprofondata per sempre negli abissi. E’ meglio di niente, ma è soprattutto un atto d’amore a quello che è stato. Ecco perché performance e non semplice concerto.

E allora bravi ragazzi, vi si perdona tutto, le voci non perfette, la personalità di Paul che prevarica su quella di John (nel 1964 sul palco il secondo prendeva in giro il primo), i coretti diversi da come li avrei fatti io, ma ogni fan avrebbe fatto a modo proprio (e ce lo siamo detti dopo).

Dopo i primi pezzi i ragazzi si scaldano, cominciano a suonare per loro (quindi per noi fan) più che per la filologia, fanno cantare Twist and Shout al pubblico (che fa le quattro note all’unisono anziché in coro ma non stiamo a sottilizzare che gli astanti sono in soprannumero) per passare a I Feel Fine, Ticket To Ride e traghettano il sogno attraverso Rubber Soul (con Michelle e Girl), saltando Revolver e Sergeant Pepper (volutamente, c’è uno spettacolo dedicato) fino al secondo periodo beatlesiano.

Penny Lane

Qui i parametri sono molto più liberi, gli Apple Pies passano da una Across The Universe acustica a Hello, Goodbye, Penny Lane, Lady Madonna, fanno tutte le gemme di George (Something, Here Comes The Sun – che non è la musica di un’assicurazione, dannati spot pubblicitari – e, favoloso, While My Guitar Gently Weeps), si scatenano in Come Together e Get Back. Il pubblico li segue, la serata è ingranata perfettamente, la finzione è diventato rituale collettivo, un sogno colorato. E funziona. E si aspettano i bis.

Mi mancavano giusto Back in The USSR e Magical Mystery Tour ma per i bis hanno deciso di schierare i pezzi più soft, e partono con un raffinato Free As A Bird con mix sul piano di Let It Be (con assolo versione album non singolo). Alla fine tutti si canta in coro Hey Jude, diretti da un Paul che è in realtà quello degli ultimi concerti di questi anni.

Thank you all we hope we passed the audition

Una serata tutta hit, praticamente le due raccolte quella rossa e quella blu, dico io, One meno qualche pezzo, ribatte Luca. Ma fanno anche le serate only for fans, dove ci sono solo pezzi da intenditori, come quelli del grandioso Live At The BBC (di cui gli rifaccio gli annunci di Paul), serate che si imparano dalla loro mailing list. Da andarci solo per sentire, Hippy Hippy Shake o I Call Your Name. ManuPaul sostiene di sostiene di sapere anche tutta You Know My Name (look up the number) ma lo voglio sentire nel pezzo parlato.

Basta parole, tutte le altre foto sono al loro posto, su flickr.

Appuntamento Beatlesiano di Ferragosto

THE AppLE PIES a Brentonico

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In questi giorni di vacanze attive in Trentino ho fatto una piacevole scoperta: la sera di ferragosto suoneranno THE AppLE PIES, storica tribute band Beatlesiana.

Il concerto avrà luogo sul Palù (il parco Cesare Battisti) o, in caso di maltempo, in teatro.

Ogni Beatlesiano che si rispetti canta, suona, suona in gruppo, sogna di replicare ogni melodia dei Beatles. Un vero Beatlesiano conosce le note, gli accordi, gli errori, gli sghignazzi, di ogni traccia, compreso il salto di canale stereo in Day Tripper.

Passata tuttavia una prima fase di entusiasmo adolescenziale ci si rende conto che la canzone-fotocopia stona e sa di museo delle cere.

Ho sentito gli AppLE PIES una sola volta in televisione e mi sono sembrati tecnicamente molto bravi. Sono curioso di ascoltarli dal vivo e di capire come affrontano – se lo fanno – il problema dell’equilibrio fra il tributo e l’imbalsamazione di un gruppo immortale come i Beatles.

Se passate da queste parti fate un fischio nei commenti o su FriendFeed.

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