Credo sia la prima volta che mi trovo ad aggiornare un post di 6 anni fa, del luglio 2003.
Ho deciso infatti di pubblicare la foto che ritrae il sottoscritto mentre l’Apollo 11 lasciava il suo imprinting nella mia memoria di bambino.
Se i forse dettagli di quelle immagini non possono materialmente essere trattenuti dalla mente di un bambino di 10 mesi, la sensazione di avventura, di balzo in avanti, l’idea dell’ultima grande esplorazione umana hanno permeato l’esistenza di chi è cresciuto in quegli anni.
Le tute bianche coi tubi, i grossi caschi sferici a specchio, gli zaini bianchi, i balzi sulla luna, il metallo delle strutture, i piccoli razzi direzionali, quella specie di carta stagnola a protezione delle radiazioni, il razzo bianco e nero. Sono elementi che hanno definito la tecnologia e l’immaginario fantascientifico di quegli anni. Si era diffusa l’idea che ci sarebbe stata un’evoluzione rapida e la luna sarebbe stata una meta facile ma non fu così.
La tecnologia era troppo costosa e pericolosa per poter continuare, come ha raccontato Umberto Guidoni nella bellissima trasmissione Dalla Terra alla Luna e nel dibattito che c’è stato a Radioincontri.
E’ stata veramente una grande avventura, difficile ad immaginarsi oggi, quando i collegamenti via satellite sono la normalità e una diretta televisiva strappa qualche sbadiglio. Non si conoscevano i colori della luna, non si era mai vista la terra da un veicolo in orbita. Le astronavi stavano su con lo sputo e i motori si facevano ripartire piantando una penna nel buco dell’interruttore rotto (penna che Buzz Aldrin conserva ancora). Provate a farlo con l’iPhone.
E’ stato un viaggio fatto in nome di tutta l’umanità , almeno a parole ma anche quelle contano in certe occasioni.
Guardatevi le immagini di The Big Picture (le lacrime negli occhi di Armstrong dopo la passeggiata lunare da sole dicono tutto) leggetevi tutto il post gigante sull’Apollo 11 di Kottke per avere ogni informazione possibile in forma enciclopedica e non dimenticate le pagine NASA del quarantennale dell’Apollo.
Grazie, Apollo.
(e grazie a chi mi ha tenuto sveglio. 🙂 )
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