Un fatto curioso capitato a Paolo Valdemarin mi ha confortato sui dubbi che avevo rispetto al postare in inglese:
Last Saturday I found out that Russel Beattie is reading my Italian weblog.
Somehow it came unexpected, it's true that I write differently on my English and my Italian weblogs and maybe I didn't expect any of my “not Italian” readers to read my Italian weblog.[…]
I almost never cross-post, before writing each post I decide if it's going to be in English or in Italian.
[Paolo Valdemarin: Paolo's Weblog]
Avevo infatti predisposto categorie di Radio Userland solo inglesi o solo italiane. Mi sono accorto in seguito che era interessante dire cose in entrambe le lingue indipendentemente dalle categorie su cui compariva il post.
Inoltre alcune riflessioni sul ruolo di “lingua formale” che l'inglese sta assumendo su Internet le ho ritrovate nelle osservazioni che Russel Beattie fa sui blog di Paolo Valdemarin:
If you hadn't noticed, Paolo doesn't blog the same in both languages. And I think to me, many times his Italian weblog is more interesting and natural. This could just be my imagination, but I think his English weblog is more a “public face” weblog for all you monoglots (“he says with nose slightly inclined upwards…”). [Russel Beattie's Notebook]
In effetti la rigida modularità della frase anglo-americana, la possibilità di coniare neologismi pregnanti unendo parole con il trattino (“never-seen-before footage”), irriproducibili in italiano, aiutano a dare un tono di “formalità gigiona” agli scritti su Internet (weblog, newsgroup, mailing list).
Del resto il tragi-comico disincanto che trasuda dalla nostra lingua difficilmente potrebbe trovare un corrispettivo in inglese. Provate a tradurre qualche arrampicata sugli specchi come indultino e raccontatemi che facce fanno gli interessati…
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