Trenta e quaranta

La vita scorre via in fretta. Se non ti fermi a guardarti intorno finisce che te la perdi.

Ferris Bueller

Non ho mai creduto che esistessero soglie d’età tangibili. I grandi impazziscono quando passi 10 anni, i genitori si commuovono quando attraversi 20 anni. Gli amici festeggiano quando è la volta dei 30. I parenti ti danno il benvenuto negli anta quando passi i 40.

Ad ogni passaggio ti continui a interrogare su questi atteggiamenti. Forse dovrebbe succedere qualcosa. Forse dovrei fare qualcosa. Forse dovrei sentire qualcosa. Il problema è che quando gli altri ti festeggiano per te è sempre una sequenza in soggettiva.

Ci sono delle differenze biologiche, ma quelle le sai da quando sei piccolo. A 10 anni manca qualche pelo, qualche curva, la patente per andare dove vuoi e una serie di altri accessori. A 20 sei agile, forte in genere digerisci anche i sassi e non smetti mai di di mettere alla prova questa abilità. Più avanti constaterai che le skill della tua scheda calano leggermente ma non è questo il punto. Se ci pensi bene la vita ti aveva avvertito per tempo.

Ci sono differenze di contesto sociale, di studi, lavoro e maturazione. Sono le più difficili da cogliere perché coadiuvate da alleati invisibili come il confondersi con la massa, il se succede (o non succede) a tutti è normale che succeda (o non succeda) a me, la mancanza di un obiettivo da perseguire, il rischio di perseguire una proiezione esterna da te: ciò che dovresti essere vince su far evolvere con armonia ciò che sei dentro e stare un po’ a vedere.

Com’è, come non è, ti ritrovi almeno a smentire la profezia pinkfloydiana dell’aver bruciato un decennio in un colpo:

And then one day you find ten years have got behind you
No one told you when to run, you missed the starting gun

Infatti non è andata proprio così: sei entrato nei 20 gozzovigliando, sei rimasto appeso ai 29 come un free climber ad un appiglio solo, sei entrato nei 30 facendo il coglionazzo consapevole, abbozzata parodia della vita adulta. Ci sei stato bene, quei nove giri di campo del sistema solare te li sei assaporati, hai fatto cose, visto gente, fatto figli, fatto famiglia ma con una continuità infinitamente derivabile. Un bel prolungamento analitico della vita precedente.

Poi? Poi un giorno il sistema in base dieci ti cambia quel 3 in 4, la tua timeline è sempre C infinito, non ci sono sbalzi tuttavia qualcosa dentro di te fa clic. Sempre gradualmente ma molto più rapidamente di prima. Clic. I sensi sono più accesi anche quando dormi. Clic. Un bimbo ti chiama, ti stressa, si fa adorare, diventa la tua autoanalisi allo specchio. Clic. Digerisci peggio. Clic. Ma tutto sommato non è affatto male. Clic. Solo un po’ più faticoso. Clic. Hai consumato 4 slot di salvataggio della tua partita e cominci a tenerne conto. Ecco cosa. E forse vai da qualche parte smettendo di vagare.

Si diventa trentenni per assuefazione. Si diventa quarantenni di colpo.

Claz

Ciao Claz!.

Ciao Claz!

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Quando Aaron dall’America mi ha segnalato il ricordo di Settimio, non ci volevo credere, con gli occhi spalancati sul monitor, stentando a riconoscere la foto che io stesso gli avevo fatto.

Ho dovuto leggere il pezzo di Roberto per rendermene conto. Per dire addio a Claudio Zamagni.

E’ difficile spiegare quanto forte possa essere un’amicizia nata per via telematica quando ci si sta abituando a cliccare su “aggiungi un amico”.

Nel 1995 si era usi ascoltare il rumore del modem che oggi sopravvive in qualche fax, sopportarne la lentezza, le cadute di linea, per approdare alla magia di First Class e delle persone che animavano quelle BBS.

Alla base di quella magia le uniche feature erano la capacità di scrivere e la condivisione di una passione comune. Le persone facevano il resto, la loro simpatia, ironia, e quant’altro ci può essere di speciale dentro ognuno.

ClaZ con il suo occhio scintillante, il cacciavite pronto, la conoscenza di ogni circuito integrato e scheda madre di questa terra era una persona speciale. Molto speciale.

Te ne accorgevi dai primi messaggi, siano stati un consiglio su cartucce ZIP vs. EZ, su un overclock, sulla condivisione di dati shareware o sull’organizzare le prime pizzate di BBS a Torino.

E nel suo primo laboratorio casalingo ci incontrammo, io sperduto studente di dottorato in una città nuova, lui come se mi avesse sempre conosciuto a bullarsi dei processori Intel, che non si potevano overcloccare perché avevano l’acqua alla gola mentre i PowerPC se ne stavano bel belli in poltrona. E intanto con un “posso?” apriva il mio nuovissimo PowerBook 165c, regalo di laurea, beandosi di dettagli costruttivi dei tempi d’oro di Apple per me del tutto sconosciuti.

Con una scena simile, estraendo un Duo dalla sua Dock conquistò un altro Claudio portandolo via al mondo Windows. E l’episodio, più volte raccontato in BBS cementò l’amicizia di tutti e tre.

Alla stessa maniera si formavano legami con Bologna, Imola, Cagliari. Era un’epoca di ritrovi di BBS, non c’era skype, non c’era Internet nelle case, en passant. E Claudio si sparava tratte di autostrade per venirci a trovare, insieme alla moglie Maria che ha sempre amorevolmente sopportato noi mattacchioni. Ho cercato le foto della pizzata del 1996 ma non le ho trovate in tempo, aggiornerò il post appena possibile.

L’ultima volta che l’abbiamo incontrato, con Daria è stato a Bologna al bar degli elfi qualche anno fa. Una momento affettuoso come se gli anni non fossero mai passati.

Poi è arrivata Internet, le mailing-list, il POC, i vari MacDay, le battaglie ad Unreal di cui ho sempre sentito raccontare e ClaZ ha lasciato un segno nel cuore di tanti utenti Mac e non.

Avremmo voluto essere anche noi a salutare ClaZ, tra poche ore a Torino. Ad abbracciare Maria e Giovanna. Ma siamo qui, a raccontare quanto Claudio sia ancora qui e continuerà ad esserci.

Ciao, Claz!

Commentiamo insieme

Diceva sempre la mia prof. di prima liceo il cui metodo didattico si basava sul saldo pilastro di leggere un paragrafetto del libro di storia, dieci righe di importanza qualsiasi, e di chiedere alla classe di commentarlo. Risultato: qualche parola balbettata e un tragico vuoto di idee sulle idiosincrasie di Pericle.

La tag mainstream del mio Google Reader mi porta stamattina su un post di Michele Santoro sul blog di Annozero. L’argomento è estremamente limitato, una precisazione sulla puntata del 23 ottobre. Sotto il post ci sono attualmente 168 commenti. Pro, contro la trasmissione, pro, contro Marco Travaglio, sulla situazione rifiuti in Campania, su molte altre cose, pochi ne ho visti su quella precisazione. Tra tutti ho notato questo commento:

UN CONSIGLIO PER TUTTI VOI !!!
Cercate di scrivere commenti più brevi per cortesia.
Non siamo qua per dimostrare di saper scrivere o di sapere le cose.
Il blog è uno strumento per esprimere una opinione….non per esibire
il proprio sapere.
Se avete questa intenzione create un vostro blog così potrete istruirci e sfogarvi in ogni modo.
GRAZIE

Che dire, 1-1 per Fabio Metitieri, il commentatore è una vox clamans in mezzo a centinaia di altri animati da ansia da forum o agorafobia da blog: aprirsi un blog è tecnicamente facile ma è un atto di coraggio verso sé stessi e le proprie opinioni non proprio alla portata di tutti.

La differenza fra gregario e leader, fra chi dice la sua ma riesce a farlo solo nella massa di un luogo di ritrovo e chi sale sulla propria soapbox nel parco è tutta a favore dei primi. Non è solo un problema di digital divide, c’è una barriera di alfabetizzazione socio-informatica da superare prima di veder crescere il numero dei blog italiani di un ordine di grandezza.

Mi ritrovavo a spiegare le basi del meccanismo bidirezionale di lettura-scrittura, vero motore del blogging ad un mio caro amico che di recente si è messo a raccontare le sue vicende americane su un blog aperto per l’occasione. Il soggiorno in America è finito ma il blog è diventato un trampolino per le idee, qualsiasi esse siano.

Mentre parlavo con lui mi sono reso conto di quanto sia importante colmare il gap fra chi gode di un blog e di una rete sociale ben avviata e chi vede l’apertura di un blog come l’antitesi della partecipazione in rete: meglio commentare un blog famoso, più facile cliccare sul “scrivi sulla sua bacheca” dentro Facebook.

E intanto ti perdi la capacità di distinguere un’informazione satellite (un commento ad un post) e un nuovo nucleo di informazione, un seme che pianti nel tuo blog con la speranza che attecchisca e cresca nel tempo.

E intanto Annozero corre ai ripari.

Missing McCartney link

SAW_LondonUndersound.jpg

Il cugino blogger (primo inoculatore del virus beatlesiano) mi segnala via gtalk:

Tolgo il cellophane e metto il disco. È un disco di Nitin Sawhney, un artista angloindiano che ha fatto cose molto belle negli anni passati, mescolando elettronica, pop e suoni terzomondisti, con bellissime voci femminili. E sono curioso di capire quale apporto frettoloso abbia dato McCartney, per essere segnalato così discretamente: invece c’è una vera canzone “di Paul McCartney”. Si chiama “My soul”, i due l’hanno scritta assieme, ha tutta la formidabile sdolcinatezza di un pezzo di McCartney e una meravigliosa voce femminile indiana in sottofondo.

[via Maccartneysmo | Wittgenstein]

Immagino che Luca non volesse infrangere la licenza CC di Vanity Fair… 🙂

ergo provvedo io ad aggiungere un paio di colpi di Google per approdare al titolo dell’album London Undersound e alla pagina del sito ufficiale con l’anteprima ascoltabile in diretta.

Vogliamo esagerare? Ecco i link diretti per iTunes: London Undersound album e My Soul (il singolo di Paul).

Produzione standard mccartneyiana degli ultimi anni, concordo con Luca.

La gestione del segreto

Penso che sia bene tirare fuori i segreti.

Non parlo dei segreti collegati alla pudicizia: la malattia propria o dei propri cari, le funzioni corporali, una grossa figuraccia sul lavoro.

Parlo dei segreti seppelliti. Quelli che sono demoni che ci divorano. Che se anche affiora il pensiero, il nostro io si gira dall’altra parte. Quelli che non ci voglio neanche pensare ad affrontarli. Quelli che è meglio di no, ho detto no.

Ti illudi che tutto sommato, se ti ci metti proprio bene, riesci a nascondere il segreto. Lo metti sotto il tappeto. Sbagliato: hai visto troppe poche volte Tom e Jerry. La bozza si vede. Non c’è via di scampo. Anche se l’hai nascosto bene, anche se non ne parli mai. La sagoma è evidente, da tanti piccoli particolari. Come un’immagine eco. Meglio di un radar, peggio di una visione notturna. Ma si vede.

I segreti vanno fatti uscire senno’ crescono. Senno’ diventano demoni e i demoni non ti lasciano più. Quasi come i draghi. Quelli volano pure e hanno denti aguzzi. E ti trovano. Trovano il tuo stomaco e lo macinano.

Ma non è la paura del Drago che ti deve spingere a pisciare il calcolo. E’ la certezza di sconfiggerlo. E’ la ricompensa di essere una persona migliore.

Sconfiggi il Drago, butta fuori il segreto e non guarderai più gli occhi del drago. Guarderai gli occhi di tuo figlio. E capirai che ha capito.

E tutto andrà a posto.

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