La chiamata è arrivata il venerdi sera. Sabato mattina telefono all’ufficio elettorale, le vigilesse mi spiegano che posso rinunciare per gravi motivi familiari o impegni precedentemente presi.
Se mi chiamano a fare lo scrutatore il venerdì, ultimo giorno disponibile, vuol dire che tutti gli altri hanno già addotto gravi motivi familiari o impegni precedentemente presi.
Sono 21 anni che faccio lo scrutatore, è un lavoro stancante contrariamente alle apparenze; ho due figli, in casa siamo disfatti dall’insonnia, la tentazione di rinunciare è tanta.
Poi penso: tutti gli altri hanno già tirato il pacco.
Le facce che vedo all’ufficio elettorale quando ritiro la nomina me lo confermano.
E così vado a coccolare quelle schede, a contarle quando sono nuove nuove, a firmarle una per una, a sigillarle, a fare in modo che non succede loro niente, a ricontarle quando sono votate e a ricontarle di nuovo per confermare i risultati.
Insieme ai miei compagni di seggio, il cui presidente è un vecchio amico ritrovato, guidiamo gli elettori che, strano a dirsi, sono sempre smarriti e incerti in uno spazio così piccolo e così pieno di frecce e indicazioni su dove andare e cosa fare.
Se dici loro: “cabina due” la tua sicurezza diventa la loro. Se non dici niente vedi sguardi smarriti e passi incerti.
C’è ancora chi chiede indicazioni su come si vota, sul voto disgiunto e tu a spiegargli sugli esempietti a base di candidato Tizio e Caio, di croci su Sempronio.
Un anziano entra con fare deciso: Buongiorno, sono del 1918! E gli brillano gli occhi. E anche a noi. Complimenti! Eh, devo arrivare a 100!
Ne passerà anche uno del 1916, e un altro che dice “questa per me è l’ultima”. “Non dica così, l’aspettiamo fra 5 anni!”.
Quando si chiude la votazione comincia la vera fatica. Riempi verbali, prepari una matrioska di bustone, buste e bustine. Poi apri l’urna e ti prepari alla maratona dello spoglio delle comunali. Con i voti alle liste e al sindaco, con le preferenze, con i voti disgiunti, una scheda e tre o quattro stanghette in altrettante tabelle su due registri diversi. In duplice copia, col frontespizio rosso e con quello nero.
Inutile preparare mucchietti, ogni scheda va aperta, vista, scrutata, annunciata ad alta voce, scritte una, due, tre e quattro stanghette, riposta in ordine dove dovrà essere ricontata quando sarà in un mucchietto da dieci.
E gli occhi guardano croci calcate, croci tremolanti, segni flebili, preferenze sulla riga sbagliata, croci accennate dentro i pallini, perché ogni voto non vada perso, perché sia chiara la volontà dell’elettore.
Stimiamo due orette per chiudere tutto, ce ne metteremo tre e mezza solo per lo spoglio. 508 schede tirate fuori una alla volta non ti fanno mai vedere il fondo di cartone dell’urna e la volontà collettiva degli elettori di quella sezione viene fuori un quanto alla volta, come un’immagine che si componga pixel per pixel. Ogni voto conta ma la statistica si fa coi grandi numeri, finché pochi voti non si aggregano sui grandi numeri, dieci schede per una lista sembrano tante ma poi ne arrivano 20 per la lista rivale e poi 1 o 2 per una lista minore semisconosciuta. E ripensi a quei passi incerti, a quelli decisi, alla diversità della gente che è entrata, a quanto è difficile metterli d’accordo tutti e quanto sia delicata quella volontà in forma cartacea che ogni elettore ti ha consegnato.
E nessun voto deve andare perso, nessuna stanghetta in più o in meno rispetto ai mucchi di carta che stendi sui tavoli, e quel voto in più che non torna fa adombrare presidente e scrutatori, e tutti a testa bassa a recuperare quel voto smarrito ricontando 508 schede una per una, mucchietto per mucchietto, decine per decine fino a trovare l’errore e a confermare il totale esatto dei votanti.
Ogni scheda viene presa, coccolata, riposta, curata anche se fai fatica, anche se sembra assurdo nell’epoca di Internet.
E’ come cambiare il pannolino alla democrazia, rimboccarle le coperte, farla dormire tranquilla.
Almeno per me.
Ci salutiamo, facciamo lo scioglimento dell’adunanza, come recita il verbale e mi ritrovo a casa a fare refresh della pagina dei risultati delle elezioni di Bologna. Con Daria facciamo le nostre proiezioni casalinghe, e azzecchiamo il 50,5 di Virginio Merola, visto il numero di sezioni, la composizione dei quartieri e il parziale dei voti validi.
Ogni sezione che arriva penso a 6 persone esauste, ai tre scarni fogli A4 con i totali, ai bustoni chiusi con lo scotch e i timbri e a quelle 500 o 600 schede coccolate che dormono lì dentro, alla volontà degli elettori consegnata, alla fatica che è stata fatta per rilevarla e preservarla.
E non mi lamento se certe sezioni ci mettono molto, se i dati arrivano tardi, se le adunanze si sciolgono a notte alta.
E’ fatta, dormite bene piccoli voti.
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