Ufficio Presadiretta

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Scriveva Paolo Valdemarin un lunedi mattina del 2006:

Credo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri dovrebbe istituire un “Ufficio Report”, presso cui sistemare alcuni volonterosi funzionari che la domenica sera si guardino la puntata di Report prendendo appunti, per poi iniziare a fare qualcosa in proposito di qualunque cosa venga descritta nella trasmissione e riferendo al pubblico eventuali progressi (magari su un blog, che costa poco e andrebbe bene allo scopo).

(Via Paolo Valdemarin Weblog.)

Ieri sera, alla fine della bellissima puntata Generazione Sfruttata di Presadiretta ho avuto il medesimo pensiero con una piccola variante: mi sono augurato che le forze politiche di opposizione, in vista delle elezioni, fabbricassero il loro programma prendendo appunti da questa inchiesta.

C’è dentro tutto: oltre 10 anni di applicazione all’italiana del diritto del lavoro con il classico metodo “fatta la legge, studiato l’inganno”. Una raccolta dati su un danno che è stato fatto e un grido di aiuto di una generazione che chiede una via d’uscita. Ma c’è dentro anche il rimedio: i casi di successo degli Italiani che hanno trovato una nuova vita a Barcellona, con un nuovo lavoro in tre giorni quindi casa e famiglia in 2-3 anni. E non erano tutte eccellenze ma normali persone che la meritocrazia ha portato alla loro meta.

Ci sono tutte le istruzioni per riuscire nella ricostruzione dell’Italia: tassazione più bassa del lavoro, controlli sul lavoro nero, attenzione a bambini e famiglie nei servizi e negli spazi cittadini.

C’era il mondo come dovrebbe essere: non il paradiso ma un mondo normale che funziona. La prima forza politica che mostra di crederci sul serio e che riesce a farci credere gli italiani stravince le elezioni. Chi si fermerà a slogan e “ricette per la crescita” verrà sgamato subito.

Se tutti rispettano le regole forse ti viene anche la voglia di gareggiare.

Se questo ci fosse un mondo normale dovremmo già sentire rumore di tastiere o almeno di penne su blocchetti per appunti.

Aggiornamento: ci sono diverse reazioni di giovani precari che vivono all’estero e che non si sono riconosciuti nel ritratto “paradisiaco” del servizio di Iacona.

Mancanza di rivoluzione italiana

A rebellion is a revolution without a vision. Italians, probably, don’t really need a rebellion. They need a shared vision based on facts and reality (not on ideology and reality shows): a deep cultural change, that helps them to understand their shared project, that helps rebuild a perspective and that makes them look ahead with an empirically based hope. They know they will have to work hard. And they usually do, when they know for what they are working. Thought, art and culture are to change. A rebellion is an act. A deep cultural change is a movement that is needed to transform the eventual act of a rebellion in the process of a constructive and generous revolution.

The case for an Italian rebellion. Why it doesn’t happen. And what could happen – Luca De Biase

Un lungo post di analisi delle aspirazioni politiche degli Italiani impantanate nell’impotenza del presente (And cynism leads to terror or to helplessness. We had terror in the past. Now we are experiencing helplessness).

Ci sono diversi spunti di riflessione, su come siamo e su perché siamo così. Magari un punto di partenza per smettere di essere così.

Bologna rinasce nei TDays

Alla fine sono arrivati i giorni della pedonalizzazione della T: i TDays

Sabato 17 mattina la T formata da via Rizzoli, Via Ugo Bassi e Via Indipendenza è tornata ad essere quello che era a metà degli anni’80: un concerto di voci di persone, di passi di persone, di pedalate di persone e un’esagerazione di biciclette legate per ogni dove (nota per l’Amministrazione: aumentare i rastrelli per le bici d’ora in poi).

I tempi sono cambiati, i negozi sono cambiati, un Apple Store in centro città apre fra le urla dei fan e degli addetti Apple. La città sembra rinascere sia nel sabato di sole cocente che nella domenica di pioggia che la sera ha permesso un passeggio al fresco.

I Bolognesi si riprendono la città, i negozi sono aperti, le iniziative di green economy non si contano più (auto elettriche, bici elettriche, attività podistiche).

Sarà che ricordo i miei 17 anni di vita in centro a Bologna con nostalgia ma nei TDAys mi sono sentito ringiovanire e una campanellina di un possibile bel futuro mi è risuonata in fondo alla testa.

Qualcosa di vivo che rotola insieme a qualcosa di morto

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La mattina in cui ci si è risvegliati declassati da S&P mi stavo chiedendo quanto ancora si potesse andare avanti con una locomotiva lanciata verso il baratro da un macchinista in coma. Come poteva essere che la fascinazione per il Capo ci mantenesse in questo abbraccio mortale.

Poco dopo ho ascoltato questo illuminante editoriale di Doppiozero raccontato da radio3:

Il problema è dato dal fatto che il corpo del Capo appare, a questo punto, inseparabile dal corpo stesso del Paese, ne è strettamente avvinto in un invincibile istinto di morte. In una delle efferate torture che i Romani infliggevano ai loro nemici, o ai cittadini condannati, il corpo di un vivo veniva legato saldamente al corpo di un morto, e poi i due fatti rotolare insieme giù da un pendio ripetendo, se necessario l’azione più volte. Si può figurare, come ha detto qualcuno, che l’Italia sia in questa posizione rispetto al corpo del Capo: qualcosa di vivo che rotola insieme a qualcosa di morto, o che tende alla Morte. Tutta la politica del corpo di Silvio Berlusconi è stata tesa a escludere la morte dal campo delle possibilità, ma, come rivela l’immagine di Majoli, la Morte tallona da presso la Vita.

I corpi dei Capi | Doppiozero via pagina 3.

L’editoriale è da leggere tutto e da incrociare con quello che ora sappiamo dalle ultime intercettazioni telefoniche e da quello che diceva Veronica Lario nel 2009.

Il marketing ai tempi della crisi

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Nel corso del 2011 siamo entrati anche noi nella spirale di Groupon, un sito in cui le aziende propongono servizi fortemente scontati sotto forma di coupon venduti a mo’ di Ebay. Compri ora il buono e lo utilizzi entro sei mesi.

Tra abbonamenti e passaparola si passa da una cena giapponese a massaggi sottoprezzo, a parrucchieri a prezzi stracciati. Così come vai a fare la spesa guardando solo il ripiano degli sconti e compri vestiti solo all’outlet, finisci per fare conto anche su Coupon, non solo per gli acquisti voluttuari.

In giugno il ristorante giapponese ci ha accolti dicendo “anche voi il buono”? e ha messo il PDF stampato su un mucchio di altri fogli che aveva vicino alla cassa.

In luglio abbiamo fatto una giornata rilassante al Villaggio della Salute: era un giovedi di fine luglio, c’erano file alla cassa e alle piscine, e una cassa dedicata ai soli utenti Groupon. L’addetta cercava il nostro codice su una mazzetta di fogli A4 stampati fitti fitti a due colonne. Saranno stati letteralmente centinaia. Per fortuna c’era posto ma saremmo potuti andarci anche in un altro giorno.

Poche settimane fa compro un buono per lavaggio auto esterno e interno con sanitificazione: come può ridursi l’interno di un auto con due figli e due gatti in vacanza solo chi c’è passato lo sa. Praticamente un biotopo, un esperimento di vita in vitro come quelli che si preparano al terraforming di Marte. L’inserzionista consiglia di telefonare per prenotare: proviamo un paio di volte senza successo. Oggi mi faccio coraggio e passo di lì:

– Groupon? Ho qualche posto dopo il 27 ottobre.
– eh?
– Facciamo 5 macchine al giorno. Prendo prenotazioni per ottobre, forse mi è rimasto qualche posto.

Sono contento per loro ma rabbrividisco per la nefasta accoppiata crisi-scontistica che ha trasformato un servizio utile (non voluttuario, non superfluo come un massaggio al cioccolato, se vogliamo) in un Denial of Service degno di un’appuntamento medico all’AUSL.

Se si abbassano i prezzi la gente corre a frotte, fino a intasare le strade. D’altra parte non fa gioco né a Groupon né all’inserzionista dire “non c’è più posto”. Anche a Ferragosto nessun hotel scrive “Siamo al completo” ma aspetta che i turisti vengano alla reception.

Fossi nella stanza dei bottoni, prima di alzare l’IVA una riflessione la farei.

Stanchezza da vacanza

La disambiguazione è la distinzione delle due anime di un bisenso. Significa far risolvere ad un algoritmo semantico o al proprio cervello un pezzettino de La Pagina della Sfinge.

La stanchezza da vacanza è un disturbo sottile e strisciante che ti accorgi di avere quando è troppo tardi e ne sei intriso come una spugna carica di liquido. A luglio inoltrato, quando molta gente è già in ferie, ti rendi conto di non avere mai interrotto il lavoro da un tempo imprecisato e la cifra dei giorni di ferie non godute ti coglie di sorpresa. La concentrazione scompare dopo pochi minuti che sei alla scrivania, errori e svarioni ti piombano davanti come i cattivi in un videogioco, le orecchie ronzano in un jet lag di un viaggio mai avvenuto.

La stanchezza da vacanza è una sensazione che non sai di provare fin quando dimentichi il calendario. Affiora alla fine della vacanza, quando ti ricordi che oggi è domenica ed è diverso da lunedì, che i problemi sul lavoro non sono più silenti nel fondo del tuo cervello durante le lunghe dormite pomeridiane e che toh, forse ne puoi addirittura risolvere qualcuno facilmente. Quando avverti che può bastare così, quando l’anestesia finisce e il risveglio è imminente, gradevole o meno ma inesorabile risveglio.

Un elegante bisenso che si bilancia tra un bisogno e la sua soddisfazione, tra la fatica e il riposo, ying e yang tenuti insieme dalla giusta durata della vacanza ristoratrice.

Ma durata e frequenza delle vacanze sono parametri delicati e di difficile gestione. Troppo corta, troppo rara, not enough data, it doesn’t compute. Il cervello non ce la fa.

Il bisenso resta. Con tutta la sua ambiguità.

Non puoi fare tutto quello che ti pare

La pur condivisibile intenzione di avvicinare l’amministrazione pubblica ai cittadini, pertanto, non può spingersi al punto di immaginare una “capitale diffusa” o ” reticolare” disseminata sul territorio nazionale, in completa obliterazione della menzionata natura di Capitale della città di Roma, sede del Governo della Repubblica.

Lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio sul tema del decentramento delle sedi dei Ministeri sul territorio

Il testo integrale della lettera del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio a proposito delle sedi distaccate al nord di alcuni Ministeri è un limpido esempio di applicazione pratica della Costituzione:

Mi risulta che il Ministro delle riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa, con decreti in data 7 giugno 2011 – peraltro non pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale – hanno provveduto a istituire proprie “sedi distaccate di rappresentanza operativa”; […].

Iniziativa autonoma dei ministeri con decreti non pubblicati e mancata informazione del Presidente della Repubblica.

Paragrafo dopo paragrafo un vero e proprio “case study” che spiega significato ed effetto di norme fondanti della Costituzione e dei pesi e contrappesi che Ministri e Presidenti devono rispettare.

Da leggere tutta fino in fondo.

E applaudire.

Gli ingredienti non fanno il cuoco

Being an expert in social media is like being an expert at taking the bread out of the refrigerator. You might be the best bread-taker-outer in the world, but you know what? The goal is to make an amazing sandwich, and you can’t do that if all you’ve done in your life is taken the bread out of the fridge.

(Why I Will Never, Ever Hire A “Social Media Expert” via Paolo Valdemarin)

L’articolo è un po’ feroce e tagliato con l’accetta ma dice il vero: i social media sono solo una freccia in più all’arco del marketing. Saper usare i social media implica disporre già di abilità “generaliste” come saper scrivere ed essere comunicativi.

Saper trovare gli ingredienti non ti trasforma in un buon cuoco. Saperli scegliere è già qualcosa, saperli combinare è già un risultato, saper presentare il piatto che hai preparato è tutto.

Mutatis mutandis, è l’idea che sta alla base dell’utilizzo di software open source: chiunque si può scaricare e istallare un cms ma poi chi ti configura il servizio? Chi ti fa il portale?

– 35.000? Potremmo quasi comprarci un mezzo nostro!
– E chi lo guida, ragazzo… tu?

Se così non fosse basterebbe distribuire scatole di lego per trasformare tutti in architetti o diffondere capillarmente le macchine fotografiche per trasformare tutti in fotografi… o forse questo è già successo?

Coccolare le schede

La chiamata è arrivata il venerdi sera. Sabato mattina telefono all’ufficio elettorale, le vigilesse mi spiegano che posso rinunciare per gravi motivi familiari o impegni precedentemente presi.

Se mi chiamano a fare lo scrutatore il venerdì, ultimo giorno disponibile, vuol dire che tutti gli altri hanno già addotto gravi motivi familiari o impegni precedentemente presi.

Sono 21 anni che faccio lo scrutatore, è un lavoro stancante contrariamente alle apparenze; ho due figli, in casa siamo disfatti dall’insonnia, la tentazione di rinunciare è tanta.

Poi penso: tutti gli altri hanno già tirato il pacco.

Le facce che vedo all’ufficio elettorale quando ritiro la nomina me lo confermano.

E così vado a coccolare quelle schede, a contarle quando sono nuove nuove, a firmarle una per una, a sigillarle, a fare in modo che non succede loro niente, a ricontarle quando sono votate e a ricontarle di nuovo per confermare i risultati.

Insieme ai miei compagni di seggio, il cui presidente è un vecchio amico ritrovato, guidiamo gli elettori che, strano a dirsi, sono sempre smarriti e incerti in uno spazio così piccolo e così pieno di frecce e indicazioni su dove andare e cosa fare.

Se dici loro: “cabina due” la tua sicurezza diventa la loro. Se non dici niente vedi sguardi smarriti e passi incerti.

C’è ancora chi chiede indicazioni su come si vota, sul voto disgiunto e tu a spiegargli sugli esempietti a base di candidato Tizio e Caio, di croci su Sempronio.

Un anziano entra con fare deciso: Buongiorno, sono del 1918! E gli brillano gli occhi. E anche a noi. Complimenti! Eh, devo arrivare a 100!

Ne passerà anche uno del 1916, e un altro che dice “questa per me è l’ultima”. “Non dica così, l’aspettiamo fra 5 anni!”.

Quando si chiude la votazione comincia la vera fatica. Riempi verbali, prepari una matrioska di bustone, buste e bustine. Poi apri l’urna e ti prepari alla maratona dello spoglio delle comunali. Con i voti alle liste e al sindaco, con le preferenze, con i voti disgiunti, una scheda e tre o quattro stanghette in altrettante tabelle su due registri diversi. In duplice copia, col frontespizio rosso e con quello nero.

Inutile preparare mucchietti, ogni scheda va aperta, vista, scrutata, annunciata ad alta voce, scritte una, due, tre e quattro stanghette, riposta in ordine dove dovrà essere ricontata quando sarà in un mucchietto da dieci.

E gli occhi guardano croci calcate, croci tremolanti, segni flebili, preferenze sulla riga sbagliata, croci accennate dentro i pallini, perché ogni voto non vada perso, perché sia chiara la volontà dell’elettore.

Stimiamo due orette per chiudere tutto, ce ne metteremo tre e mezza solo per lo spoglio. 508 schede tirate fuori una alla volta non ti fanno mai vedere il fondo di cartone dell’urna e la volontà collettiva degli elettori di quella sezione viene fuori un quanto alla volta, come un’immagine che si componga pixel per pixel. Ogni voto conta ma la statistica si fa coi grandi numeri, finché pochi voti non si aggregano sui grandi numeri, dieci schede per una lista sembrano tante ma poi ne arrivano 20 per la lista rivale e poi 1 o 2 per una lista minore semisconosciuta. E ripensi a quei passi incerti, a quelli decisi, alla diversità della gente che è entrata, a quanto è difficile metterli d’accordo tutti e quanto sia delicata quella volontà in forma cartacea che ogni elettore ti ha consegnato.

E nessun voto deve andare perso, nessuna stanghetta in più o in meno rispetto ai mucchi di carta che stendi sui tavoli, e quel voto in più che non torna fa adombrare presidente e scrutatori, e tutti a testa bassa a recuperare quel voto smarrito ricontando 508 schede una per una, mucchietto per mucchietto, decine per decine fino a trovare l’errore e a confermare il totale esatto dei votanti.

Ogni scheda viene presa, coccolata, riposta, curata anche se fai fatica, anche se sembra assurdo nell’epoca di Internet.

E’ come cambiare il pannolino alla democrazia, rimboccarle le coperte, farla dormire tranquilla.

Almeno per me.

Ci salutiamo, facciamo lo scioglimento dell’adunanza, come recita il verbale e mi ritrovo a casa a fare refresh della pagina dei risultati delle elezioni di Bologna. Con Daria facciamo le nostre proiezioni casalinghe, e azzecchiamo il 50,5 di Virginio Merola, visto il numero di sezioni, la composizione dei quartieri e il parziale dei voti validi.

Ogni sezione che arriva penso a 6 persone esauste, ai tre scarni fogli A4 con i totali, ai bustoni chiusi con lo scotch e i timbri e a quelle 500 o 600 schede coccolate che dormono lì dentro, alla volontà degli elettori consegnata, alla fatica che è stata fatta per rilevarla e preservarla.

E non mi lamento se certe sezioni ci mettono molto, se i dati arrivano tardi, se le adunanze si sciolgono a notte alta.

E’ fatta, dormite bene piccoli voti.

Il giornalismo urlato fa il web schizofrenico.

Repubblica.it - Osama ucciso

E’ da un po’ che osservo l’evolversi delle home page dei giornali cartacei online, in particolare di Repubblica.it. Sono passati oltre dieci anni dallo “sbarco sul web” del giornale cartaceo, qualcosina è migliorato ma l’affannosa voglia di riprodurre online lo strillo del giornale cartaceo e la velocità urlata del telegiornale non si è affievolita.

Negli ultimi tre giorni ci sono stati tre eventi-notizia mondiali come il matrimonio di William e Kate, la beatificazione di Papa Wojtyla e l’Uccisione (presunta, direi) di Osama Bin Laden. Nei mesi passati c’è stato l’attacco alla Libia e le altre rivoluzioni nei paesi del nord Africa.

In ogni occasione l’home page si allarga a tutto campo, e il titolone diventa uno strillo sopra un carosello di foto a effetto.

Ma la sintesi di uno strillo non basta più, l’ansia di voler dire tutto ma proprio tutto in home page inzeppa sommario e occhiello di link grandi, link medi, link minuscoli con e senza iconcine.

Non contenti di ciò il titolo-strillo viene spezzato in più frasi ognuna linkata verso un contenuto diverso.

E’ il collasso dell’usabilità, l’informazione del web trasformata in urlo, l’attenzione del lettore-navigatore strattonata ad ogni occhiata.

Mai come ora benedico l’informazione data dal passaggio del mouse: se non vado a vedere nella barra inferiore di Safari (menu Vista > Barra di Stato) a quale indirizzo porta il link su cui sto passando il mouse non oso cliccare: non è chiaro in quale sezione del giornale si finisce, non si sa se verrà mostrato un video, un articolo o una foto (e se non ho flash istallato? E se non ho abbastanza banda?), non si sa se una volta all’interno dell’articolo avrò a portata di mano gli altri link sulla stessa notizia presenti nel titolo strillato della home page.

Praticamente sembra di stare in un ingorgo di traffico dell’informazione.

Continuo a pensare che, problemi di usabilità a parte, sul web quel che conta è l’interesse, non l’attenzione. Voglio essere informato da qualcosa che richiami il mio interesse e vi immetta dati nuovi, non da qualcosa che ha urlato più forte e mi abbia fatto precipitare nella pagina dei video più cliccati invece che nella sezione Esteri.

Se un evento è in aggiornamento frenetico può capitare di ritornare alla home dopo aver letto un articolo e trovarla cambiata, con una diversa disposizione di link “urlati” e parcellizzati nel titolo principale. Devo di nuovo orientarmi, aprire tante pagine in tab diversi e farmi un ordine mentale.

Leggere, anche nel bel mezzo di una breaking news, dovrebbe essere un piacere, non una fatica.

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