Joost: 999 inviti (anzi, illimitati)

Come tutti i più fortunati della prima ondata, Joost ha deciso di inviarci sulla terra a fare proseliti. Abbiamo un numero esuberante di inviti per non dire infiniti. 🙂

Il difficile è fare copia e incolla, per fortuna ho scoperto che Joost può essere messo in background anche se va a pieno schermo (basta fare mela-tab su Mac OS X).

Se stasera i bimbi ci lasciano in pace comincio a smaltire le richieste dei vecchi post. Chiudo i commenti in quei post, nuove richieste o altri commenti in questo post.

Update: titolo del post cambiato in seguito a download della nuova versione: i 999 inviti sono diventati illimitati. Ne ho spediti a tutti quelli che avevano commentato i post precedenti, scusate gli eventuali doppioni, non è spam. Li ho dovuti scrivere a manina perché Joost non supporta il copia-incolla, per fare prima ho omesso o abbreviato nome e cognome nei rispettivi campi.

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Mostra il tuo Desktop

Un meme istantaneo lanciato da Giovy: si nasondono le finestre, si fotografa quello che c’è e lo si commenta il suo post.

Il risultato è una lunga teoria di cazzeggio quotidiano 🙂

Ecco il mio doppio desktop al lavoro:

Che segue lo slogan Two figl is better che one.

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P.S.: no, da utente Mac non uso la tag wallpaper.

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Auguri, Gaspar!

Se i blogger fossero Cavalieri Jedi, il signore ritratto in questa foto sarebbe il loro Maestro Yoda.(*)

Gaspar e la coda lunga

In ritardo di due giorni, auguri di buon compleanno all’amico Gaspar.
(*) ma la sintassi di Gaspar è decisamente migliore…

(Via Andrea Beggi.)

Da buon blogger-Jedi malato di SW da quando ha memoria non posso che accodarmi aggiungendo due cose:

  1. Auguri, Gaspar!
  2. Andrea, dandogli dello Yoda, gli hai anche dato dell’800-genario (o come cavolo si dirà)…
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Perché uso Twitter?

E in questo scorcio di wifi dolomitico e ultimi minuti di batteria salto sul carro del twitter-meme di cui c’è traccia anche sulo wiki di pandemia.

Twitter è rapido come un’endovenosa. Beh, diciamo una mentina.
Twitter aggiunge al meccanismo delle reti sociali il fattore velocità: alla destrutturazione della chatroom tradizionale (tutti entrano in maniera convenuta in una chat e sono obbligati a leggersi vicendevolemente) risolta con il meccanismo asimmetrico dei followers e friend (io scrivo, non so chi mi legge ma decido io chi leggefre) viene aggiunta un’immediatezza mai provata prima.

Twitter riesce a mimare come nulla prima di lui un setting da party o se vogliamo da BarCamp: un grupppo di persone che si spezza in sottogruppi o cluster, di cui si ascoltano le chiacchiere, in cui immettere le proprie passeggiando da un gruppo all’altro. Se la chiacchiera trasporta una notizia “calda” allora è capace di fare il giro vorticoso di tutto il gruppo. Se è “locale” avrà l’attenzione solo delle persone coinvolte e di qualche curioso che avrà il dono poter diffondere la cosa ad altri gruppi. Il principio dei “legami deboli” delle reti a piccoli mondi.

Su twitter avvengono situazioni surreali, vengono trasmessi aggiornamenti in tempo reale di eventi come lo ZenaCamp, ci sono i link di Scoble, le frasi taglienti di John Gruber, i dialoghi ancor più surreali dei personagi di StarWars. Il tutto in un unico “river of news” (che sta alimentando sempre più la mia pagina dei favoriti).

Quando la mole delle informazioni più “lente” o “consolidate” (i post dei blog anche via rss) raggiungono dimensioni non compatibili con le giornate prive di tempo libero (o giustamente dedicate ai propri cari) allora Twitter vince su tutto: un’occhiata alle ultime 2 pagine di Twitter è un’affresco della giornata appena passata.

Sempre grazie ai contatti giusti. Thanks Twitters!

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25 aprile fuori dallo schermo

E’ tutto il giorno che penso a questo post, dapprima perché stamattina il DB di wordpress era inaccessibile e mi sono dovuto limitare a creare in fretta il bannerino che vedete in alto nella pagina prima di andare alle celebrazioni. Poi perché da buon bolso è dall’anno scorso che ho promesso foto mai caricate insieme a qualche approfondimento.

Verso sera, quando i bimbi ci hanno lasciato in pace, ci hanno pensato Elena ed eio a ricordarmi che non è necessario fare un trattato di storia della Resistenza ma basta buttare giù i propri pensieri.

Chi ha la mia età alle scuole elementari disegnava carri armati e trincee agognando il pennarello verde militare più somigliante alla realtà, per crearsi sullo schermo di un foglio di carta un filmone degno de La Grande Fuga. Al contempo ci si scaldava a parlare di fascisti e partigiani alla stregua di cow-boy e pellerossa. I pomeriggi si andava alla statua del Partigiano in piazza a Parma e da più grandi si andava a vedere film come l’Agnese va a morire. L’abbiamo bevuto col latte negli anni ’70 il senso di vicinanza di quei fatti, delle ferite appena rimarginate, i ricordi ancora freschi. Poi si cresce, si fa sedimentare il tutto e si ripescano altri film, tra cui i due che citavo l’anno scorso: Il Generale della Rovere e Tutti a Casa.

Le battute finali di quei film rappresentano il senso di questa giornata, anche se storicamente avvengono ben prima: la discesa nell’inferno beffardo della dittatura, della guerra assurda in cui l’Italia si era andata ad arenare si ferma quando si tocca il fondo. Il fondo della sofferenza, delle atrocità naziste, di morte e distruzione che fanno scattare qualcosa nella testa di molti Italiani. Ci vuole tutto il film per far capire a De Sica/Della Rovere cosa stanno passando i partigiani, andando a morire come uno di loro così come ci vuole tutto il film ad Alberto Sordi per smettere di fare il codardo bonaccione, impugnare una mitragliatrice e darsi da fare perché non si può stare sempre a guardare.

I film possono essere belli, brutti, pallosi, divertenti, retorici, sinceri. Alcuni di loro hanno una marcia in più che viene fuori quando escono dallo schermo. Può succedere con i titoli di testa (tratto da una storia vera), può essere la voce alle spalle di tuo padre che dice “Successe proprio così l’8 settembre; i tedeschi ci sparavano addosso” oppure “sapessi quanto era freddo l’inverno del ’44”, può essere – per le generazioni più giovani – il colpaccio di Spielberg che fa sbucare dal bianco e nero al colore gli Ebrei di Schindler oggi e li fa andare a deporre pietre sulla sua lapide.

Se il 25 aprile si va in Piazza Nettuno a Bologna, le migliaia di faccine del sacrario escono dallo schermo e ti ricordano che sono messe lì perché quello era un posto di fucilazioni di partigiani chiamato sprezzantemente “luogo di ristoro per ribelli” con tanto di striscione. Se giri la testa nella giornata di sole vedi che i pochi partigiani rimasti sono vecchi e stanchi e hanno biosogno di noi. Se torni a guardare le faccine scopri i dettagli, le foto della liberazione, i numeri esatti di quanti sono morti, i nomi e i cognomi che poi sono tra i più comuni a Bologna. Se hai voglia di conoscerli il sito della Certosa ha una sezione multimediale dedicata presentarteli uno per uno. Così scopri, tanto per fare un esempio, che Irma Bandiera non è solo una via alberata ma una giovane donna torturata e accecata quindi abbandonata davanti al Meloncello. E non aveva parlato.

Se ti avanza un po’ di tempo puoi allungarti fino al al Parco dei Cedri, alle porte di San Lazzaro, dove puoi scegliere tra il Parco Memoriale della Libertà, il cimitero dei Polacchi e quello degli Anglosassoni. Quest’ultimo in particolare è un’esperienza toccante: tombe bianche in fila, con date di nascita, morte, grado militare e corpo di appartenenza. Forma e dimensione della lapide identiche senza distinzione di grado o religione. Colpiscono i numeri: giovani di 18 e 20 anni, volati dall’Australia fino a qua per toglierci dai guai insieme ai nostri Partigiani. Numeri bassi per età numero alto di lapidi. Sono morti a palate, basta un’occhiata per capirlo.

Ma il 25 aprile è soprattutto una festa. E’ la sua magia: essere il simbolo della rinascita dopo lo sfacelo e di un nuovo inizio. Vai in piazza, assapori il ricordo vivo nell’aria anche se non hai vissuto i fatti direttamente, abbozzi qualche parola di spiegazione ai pargoli, ti giri e incontri vecchi amici con relativi pargoli (ci voleva il 25 aprile per rincontrarsi); applaudi quando passano le bandiere, applaudi più forte ai gonfaloni pieni di medaglie sostenute da un vecchio curvo sull’attenti; ti fai mettere il patacchino della Resistenza dal Partigiano al banchetto ANPI e ascolti la voce tremante del Partigiano che parla dal palco presentando l’ospite dell’esercito polacco che entrò a Bologna il 21 aprile 1945. Altra faccina che esce dallo schermo.

Andare in piazza il 25 aprile è il minimo che si possa fare. Ponte e ferie possono aspettare i giorni successivi. Basta poco a fare ciao con la manina alle faccine che escono dallo schermo. Se siamo qui lo dobbiamo a loro.

Buon 25 aprile a tutti.

P.S. il bannerino rimarrà fino al primo maggio, come faccio con il suo cugino di carta preso al banchetto ANPI che tengo sul lunotto posteriore della macchina. Per chi lo volesse basta cercare id=”ribbon” nel codice. il CSS è incorporato.

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La sveglia che scappa

When the Alarm Clock Runs and Hides:

bbbbryan writes to tell us about the commercialization of the elusive alarm clock prototyped at the MIT Media Lab a couple of years back. This alarm clock actually runs, hides from you, and beeps to ensure that you’ll be awake enough not to go back to sleep by the time you find it and get it shut up.

(Via Slashdot.)

Sembra che esista già in forma di bambino

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I ritardi di Leopard

Bottleneck:

Leopard is far too big a project for any simple explanation to fully explain why it has fallen behind schedule. But from what my sources at Apple tell me, this is a case where the PR spin is in fact essentially true. It’s not so much that talent was pulled from OS X to work on the iPhone, but that they were pulled from the Mac part of OS X to work on the iPhone part of OS X.

(Via Daring Fireball.)

Tanto, come sempre, non sapremo mai la verità. E’ la main feature di Apple quella di restare abbottonata.

Certo non siamo ai tempi di Copland e delle blue e pink card. Mac OS X è una realtà affermata e con un indotto solido intorno. Nessuno da più per spacciata Apple (vedi il commento a caldo di Brent)

E’ evidente che dietro l’affermazione ufficiale c’è molto più di quanto Apple voglia dirci: potrebbe occorregli tempo per stabilizzare Leopard, eliminare Bug, migliorare le performance su macchine più vecchie (non dimentichiamoci che Time Machine promette di backuppare tutto in tempo reale). Un OS promesso come super rivoluzionario e pieno di feature segrete non può deludere le aspettative.

Normalmente non serve a niente mettere programmatori da un progetto A ad un progetto B con scadenza più urgente di A se questi non hanno conoscenze specifiche. Da qui la deduzione di John sulla sinergia di conoscenze fra iPhone e Mac OS X.

Mi sa che pensionerò direttamente il vecchio Nokia 6600 per approdare ad iPhone 1.0, senza passare da un Nokia (dal prezzo) intermedio.

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Leopard esce in ottobre

Lo dice Apple e lo riprendono molti altri blog. Carino il niente panico di Brent

La scusa ufficiale è la finalizzazione di iPhone. Una mossa davvero inusuale per Apple che in passato ha subito grosse flessioni di borsa proprio annunciando ritardi sui prodotti. Lo scenario è cambiato: grazie alle vendite su musica e video sembra che Apple faccia il mercato invece di subirlo.

Vedremo come reagirà la borsa stessa. Non è detto che tra gli scopi di questa mossa non ci sia un tentativo di abbassare il valore delle quote di AAPL per poi farle risalire quando iPhone e Mac OS X Leopard saranno pronti e disponibili.

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100 Million iPods Sold

100 Million iPods Sold:

Apple today announced that the 100 millionth iPod has been sold, making the iPod the fastest selling music player in history. The first iPod was sold five and a half years ago, in November 2001, and since then Apple has introduced more than 10 new iPod models.

(Via Apple Hot News.)

Cito la fonte diretta perché di approfondimenti sul successo di vendite dell’iPod ce ne è a bizzeffe da ieri.

Ne è passato di tempo da quelle tre ore di macchina sotto la nebbia per andare a Milano una sera di ottobre 2001 al rinfresco di Apple Italia. Il primo iPod ci sembrava un po’ grossotto e sovraprezzato, francamente non gli assegnavo il successo che si è preso.

L’effeto-alone sembra essere arrivato: Apple ha potuto attuare una strategia che l’ha portata a rinnovare il parco macchine, l’architettura, il processore e sfornarci un MacPro 8 core giusto pochi giorni fa.

Mi chiedo se tutti quei cento milioni di iPod sfruttino la carta vincente dell’accoppiata con iTunes, la vera differenza fra un iPod e un lettore mp3 qualsiasi. Spesso incompresa (ho colleghi che vantano come una comodità il mettere le canzoni a mano dentro una chiavetta o un lettore non apple) è la caratteristica che dovrebbe portarti a conoscere meglio la tua musica, ad organizzare le playlist, a sistemare i nomi degli album, a riscoprire vecchi CD mai ascoltati e a portati tutta la discografia con te.

Se cosi’ fosse la consapevolezza dell’utilità di un computer in casa PC o – meglio – Mac, l’induzione a comprare nuovi Mac dovrebbe essere evidente. In genere si sente dire che gli iPod sono regali inutilizzati, che rimangono vuoti e privi di canzoni. Anche questa è una forma di digital divide o di analfabetismo informatico.

L’iPod non è solo un lettore per musicofili fighetti, tanto la musica la puoi sentire anche da un altro dispositivo. Sarebbe come dire che tutte le auto sono uguali, in fondo hanno tutte quattro ruote e un volante…

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