Ci sono esperimenti che si possono fare solo quando ti becchi una bronchite in piena estate. Ho cominciato per scherzo ingannando il tempo ieri in autostrada e ieri sera ho prodotto il mio primo podcast.
Prendiamola come un esperimento del plugin Podcasting (che mi sembra ben più agile e moderno di PodPress). Così da oggi il Bolsoblog si ritrova con un feed in AAC (con copertine ed URL, per iTunes, iPod, iPhone) ed un feed in MP3 (solo audio).
Forse saremo uno Stato laico il giorno in cui la seconda carica del medesimo Stato, in aula, eviterà di chiamare il Papa “Santo Padre” – visto che per moltissimi cittadini non è né santo né padre – e lo chiamerà semplicemente il Papa o, meglio ancora, il “Papa dei cattolici romani”, come abitualmente si fa all’estero.
Sono piccole cose, certo. Da sempre però costituiscono i comportamenti di default del giornalismo e delle istituzioni italiane. C’è pure chi si commuove chiamandolo “Santo Padre”, come Bruno Vespa, specie quando ci ha parlato in diretta. Rispettabilissmo, se non lo pagassimo noi nello spazio di massimo ascolto.
Come il crocifisso nelle scuole o lo spazio spropositato dato ai funerali del precedente Papa. Mi ricordo che al momento dell’annuncio della sua morte stavo scanalando su Sky e tutti i canali di news (Fox, CNN, etc.) erano sulla diretta dell’evento. Un canale francese interrompe il suo telegiornale, dà la notizia, riassume la vita di Woyitila, tempo cinque minuti e dallo studio i conduttori dicono: beh passiamo ad altro.
Ecco: passiamo ad altro.
P.S.: già che ci siamo colleghi giornalisti, per favore, quando parlate di Padania, chiamatela cosiddetta Padania. Altrimenti dovremmo parlare con cognizione di causa di Paperopoli e Topolinia.
Update: il New York Times lo chiama pope senza neanche usare la maiuscola.
MobileMe, il nuovo servizio online di sincronia dati con cui Apple ha sostituito dotmac, ha avuto qualche problema di lancio.
Come utente storico di dotmac ho ricevuto un email di scuse, in un linguaggio abbastanza diretto e colloquiale (poco PR per intenderci) che culminava nell’omaggio di 30 giorni di estensione dell’abbonamento:
We want to apologize to our loyal customers and express our appreciation for their patience by giving all current subscribers an automatic 30-day extension to their MobileMe subscription free of charge. Your extension will be reflected in your account settings within the next few weeks.
Si gradisce l’omaggio riparatore; soprattutto si gradisce la franchezza e la trasparenza di un email che ammette esplicitamente i “grossi problemi” (ora risolti) avuti dalle web apps.
Nell’email si approfitta per fare chiarezza rispetto al termine “push”, inteso come sincronia istantanea. Apple promette di non usarlo poiché attualmente il sistema si prende fino 15 minuti di intervallo. Lo chiameranno “push” quando sarà effettivamente quasi istantaneo.
Vorrei poter girare questo email ai grandi strateghi del marketing telefonico nostrano, per ripensare le loro tariffe a caratteri cubitali con asterisco ed eccezioni scritte a corpo 7.
Un nuovo video virale sta girando in questi mesi. In maniera piuttosto underground visto che i contenuti sono forse i più stomachevoli mai visti in rete (per ovvie ragioni non lo linko. Sappiate che gli ingredienti stanno agli estremi opposti della nostro apparato digerente. Se siete abili navigatori vi meritate di trovarlo da voi con le poche parole chiave necessarie).
Il video mira a titillare la curiosità del suo impreparato bersaglio, colpirlo con il suo contenuto e scatenare la voglia di vendetta proponendo il video ad altri.
E’ praticamente una forma primordiale ma evoluta di spam, che tuttavia ha l’unico merito di fabbricare da zero un caso di studio delle dinamiche della rete.
E difatti ecco nascere una sequenza infinita di video con le reazioni di chi guarda, compresa una famosa nonna finita pure sulle magliette.
Come un nuovo Goatse, da un lato rivela quanto possa essere ampio il ventaglio delle perversioni umane, che in rete, grazie all’accessibilità delle sole anteprime dei siti pornografici, acquista una nuova veste tassonomica (dalle zie ottantenni in guepière, agli uomini pelosi, ai fan dei pannoloni); dall’altro ci fa scoprire la capacità sempre attiva della Rete di fabbricare anticorpi, come i video delle reazioni che aiutano a riderci sopra ed esorcizzare la paura.
Sono sicuro che il primo giornalista che se ne accorge farà un articolo su youtube come covo di bullismo ed ora anche di perversioni. Vorrei con queste righe cominciare a generare i primi anticorpi.
E non ho mai visto quel video, solo il primo fotogramma. La trama me l’hanno raccontata. Sono salvo!
Oggi in un pezzo di colore sull’iPhone come evoluzione ultima del concetto di computer succede la stessa cosa:
Uno scrittore americano di fantascienza immaginò negli anni 50, quando i calcolatori erano ancora grandi come vagoni ferroviari e lenti come calessi, che un giorno i potenti della Terra si sarebbero raccolti attorno al computer più potente del mondo collegato a tutti gli altri computer, per rivolgergli la domanda che ci tormenta da sempre: Dio esiste? E la macchina avrebbe risposto: “Adesso, sì”. Neppure lo scrittore di fantascienza osò tuttavia immaginare che dopo pochi anni, la “macchina di Dio” sarebbe divenuta tascabile.
Capisco la resistenza a citare direttamente il link di un blog, per non far uscire il lettore dal sito di Repubblica.it ma citare l’autore di un libro, oltretutto celeberrimo, che male fa?
Devo forse segnarmi fra 10 anni di scrivere un post tipo un celebre corrispondente dall’America di Repubblica era uso citare autori di fantascienza senza nominarli?
Signor Capone, lei forse non lo sapeva ma l’Italia l’amava, ha fatto crescere generazioni intere, e migliaia di vecchiette che aspettavano di sapere chi tra Broke o Taylor, volesse sposare.
Dice un commento tra i tanti, sentitissimi, che stanno trasformando il post sulla morte di Claudio Capone in un album dei ricordi.
Fan, passanti, appassionati, colleghi doppiatori (chi in chiaro chi solo con il nome) salutano una voce nel cuore, un amico, un grandissimo doppiatore, una persona splendida, immortalata nei ricordi della sala di doppiaggio, dei consigli dati ai colleghi, di tanti piccoli flash.
Di Claudio, come degli altri che amo, mi piace l’equilibrio inconfondibile fra la riconoscibilità di una voce fantastica e la fusione con il personaggio interpretato dall’attore originale. Capisci che è qualità pura, amore per l’uso della voce, e al contempo ti dimentichi e segui il personaggio.
Ma in trasparenza rimane sempre la voce, quella bravura soffusa che avvolge tutto e ti coccola il cervello.
La voce di Claudio, la persona di Claudio trasmettono quella bravura. Bassa ma vellutata, rugosa e morbida al tempo stesso, modulabile, con parole e sillabe scandite, un piacere di altri tempi come un bicchiere di whisky invecchiato bevuto davanti al caminetto.
Bravura nei documentari, ad accompagnarti con le aquile sulle vette più alte, bravura nei telefilm, dallo Sceriffo Brock al pastore di Settimo Cielo, bravura in parti improbabili per quella voce.
Bravura e basta.
Claudio se ne è andato giovane, maledetto ictus, ma ha avuto modo di viaggiare accanto ai grandi in un lungo arco di storia del cinema: la sua voce, dal timbro ancora giovanile, da’ corpo ad alcuni aiutanti del Tenente Colombo nei primi anni ’70, ed è sempre la sua voce acerba che nel 1978 ben si adatta al Luke Skywalker ragazzino di Episodio IV, per poi evolvere con la timbrica a Luke che scopre la forza su Dagobah e al Luke Jedi che fa il suo ingresso nel palazzo di Jabba.
Claudio è una costante: pubblicità, documentari, film. Dicono tutti: la sua voce ci mancherà. Verissimo, ma a quelli come me manca Claudio, come mancano Cesare, Ferruccio, Pino, Gualtiero e gli altri.
M’importa assai se il tal personaggio ora cambierà voce. Mi importa molto di più che si sia spenta la voce di Claudio.
Siamo appena entrati in un periodo di repliche televisive. Sul satellite si replicano continuamente film e telefilm. Ogni volta, ad occhi chiusi, una, tante fitte al cuore.
Il doppiatore è un mestiere che presupporrebbe l’immortalità: perché le voci sono ovunque non legate ad una sola faccia, le voci sono sempre nell’ombra. Come le favole della buonanotte.
L’occasione è una conversazione su uno dei temi più antichi e ricorrenti nella blogosfera: la fuffizzazione dei contenuti.
La novità in questo caso è che non si tratta di una critica dall’esterno (mainstream, giornali) verso l’interno della blogosfera ma di una riflessione interna di un veterano come Brodo. E un blogger come lui conosce tutti i meccanismi social, codalunga, filtri, conversazioni, tagging, aggregazione etc. etc. che si suppone debbano aumentare la qualità dei contenuti.
L’accusa è invece rivolta ad essi: i contenuti della blogosfera stanno peggiorando. La causa: chiunque si sente in diritto di dire la sua anche su argomenti non di propria competenza.
Se è pur vero che l’inizio di Blog Generation ritrae la rete come amplificazione delle chiacchiere da bar, è vero che si è sempre sottointesa una fiducia positivistica nella rete stessa e nei suoi partecipanti: chi scrive lo fa per partecipare all’intelligenza collettiva, per arricchire il sapere di tutti, per migliorare il social network, etc. etc. Manco tutti fossimo coscienziosi redattori di wikipedia o programmatori del kernel linux.
Errore: la rete non è una evoluzione elitaria della società ma sempre più una rappresentazione della società attuale.
Ci siamo dentro tutti: belli, brutti, dotati di idee o risuonanti a vuoto, arroganti e gentili, cazzoni e cazzari, presenzialisti e solitari, provocatori o ragionatori.
Più si abbassa il filtro all’accesso, da quello fisico della banda larga a quello della difficoltà d’uso degli strumenti, più ci ritroviamo un aggregatore degno di un centro commerciale il sabato pomeriggio.
Siamo Italiani: siamo sguaiati, caciaroni, diamo sulla voce, abbiamo la verità in tasca, siamo fatalisti, non abbiamo colpa di niente, non ci stupisce più niente, ci fidiamo di chiunque ci sappia abbindolare. Ma anche: riflettiamo, apriamo dibattiti, ci informiamo, meditiamo, non raggiungiamo mai una conclusione.
Siamo italiani e difficilmente sappiamo argomentare una discussione in maniera razionale, primato che ho sempre riconosciuto agli internauti anglosassoni. Dieci anni fa bastava confrontare i thread sui newsgroup della gerarchia it.comp.qualcosa con comp.sys.qualcosa. Oggi basta saltare da una tag di blog italiani nell’aggregatore ad una di blog stranieri.
La rete non è un filtro in entrata, è un’impastatrice di contenuti e comportamenti. Gli ingredienti che sta impastando ora sono questi. Di che ci stupiamo? Non sono troppo diversi dagli ingredienti che impasta la televisione, solo hanno combinazioni molto più numerose ed effetti nuovi.
Questi effetti sono migliori di qualsiasi impasto televisivo mainstream. Da questo punto di vista sono più fiducioso del mezzo in cui ci muoviamo. E allora sì che ridivento positivista: lasciamo decantare i blogger nostrani nel Grande Frullatore, sarà comunque meglio di Amici. Anche un lolcat è meglio, come dice Clay Shirky in questo video da vedere fino in fondo.
Un’interessante analisi su counternotions.com sposta il problema verso una guerra di interfacce utente a partire dal fatto che i controlli multitouch di iphone perdono di senso su flash.
Da sempre Adobe ha plasmato le proprie interfacce dentro i suoi programmi e la conclusione naturale sembra essere una competizione diretta con l’interfaccia di Apple su iPhone. Cosi’ Cameron, che ha segnalato l’articolo originale, riassume la situazione:
HTML/CSS (with special WebKit animations and features) is Apple’s competitor to Flash, Silverlight and JavaFX. Interesting. Apple is normally criticized for being closed, yet its rich internet contender is the most open.