(via unamanolavalaltra.it)
(Avevano detto: “Faremo una legginaâ€. Se ne andassero affanculetto)
(Via: Spinoza – Ponzio pelato)
Anch'io col mio blog. Ecco.
(via unamanolavalaltra.it)
(Avevano detto: “Faremo una legginaâ€. Se ne andassero affanculetto)
(Via: Spinoza – Ponzio pelato)
Di seguito il testo di una mail che manderò a Vodafone appena trovo il link contatti sul loro sito.
L’eventuale risposta sarà pubblicata su questo blog.
Cara Vodafone,
i miei punti Vodafone One accumulati nel 2008 sono scaduti il 3 marzo, l’altro ieri. Clicca sull’immagine e controlla tu stessa:
Mi avevi avvertito sia sul tuo sito web che via sms; avevi addirittura prorogato la scadenza dal 28 febbraio al 3 marzo 2010.
Avevo messo l’avviso su iCal ma ho dormito poco, ho due figli piccoli di cui uno con il virus gastrointestinale, sai, di notte chiamano, di giorno tocca andare a riprenderli, poi la casa, il lavoro, le cavallette.
Il 3 marzo alle 23:59 dormivo della grossa, non ho potuto resistere al colpo di sonno.
L’errore è tutto mio, nella raccolta punti sono un dilettante allo sbaraglio.
In un primo momento ho pensato: aspetto un altro anno; del resto il solerte messaggio del sito mi dice:
Ti ricordiamo che hai 608 punti, accumulati nel 2009 e non ancora utilizzati, in scadenza al 28/02/2011.
(e, stai sicura che nel 2011, non si ripeterà l’increscioso errore).
Poi ho pensato: questo è un vulnus alla diritto alla raccolta punti. Ci sono fior di ricariche e promozioni trimestrali rimaste lontano da me per un vizio di forma. Non possono rimanere senza rappresentanza. E’ un grido di dolore che non può rimanere inascoltato.
Convocherò una riunione di condominio straordinaria, si può fare, siamo solo due unità immobiliari.
Posso organizzare una manifestazione di piazza di quasi 3 persone, vicino alla baracchina dei gelati del Meloncello.
Potrei anche riuscire ad avere udienza dal Presidente della Repubblica prima dello scadere del settennato.
Ma il ricorso al TAR proprio non ce la faccio: gli avvocati costano, la burocrazia mi spaventa.
Del resto da domani potremo tutti pagare le tasse in ritardo, iscrivere i figli a scuola oltre il limite massimo, pagare il conto al ristorante a babbo morto.
Orsù, Vodafone, me li riaccrediti questi punti?
Nicola D’Agostino pubblica una vecchia screenshot del System 6
e viene illuminato da una Daring Fireball.
Sono i casi in cui mi viene voglia di bloggare in inglese.
è una delle cose per cui vale la pena vivere.
Il primo vantaggio del Kindle è di essere un gateway istantaneo verso una cospicua fetta del catalogo di Amazon. Niente spese di spedizione, clic su Shop in the Kindle Store e via.
L’interfaccia a pirullo multidirezionale è roba da anni ’90 che fa dimenticare il beneficio della lettura su display e-ink. La gestione della collezione di libri completamente assente.
E se Amazon si limitasse a metterci il catalogo e a raccogliere i profitti?
As for Amazon, they might wind up delighted with this thing. Apple’s in the business of selling devices first, content second. I think Amazon is in the content business first, the device business second. A world where Kindle hardware sales pale in comparison to the iPad but where there’s a very popular Kindle app for iPad that competes against iBooks is not a bad situation for Amazon. Apple is only selling e-books for use on their own devices; Amazon is willing to sell e-books anywhere they can.
(via Daring Fireball: Various and Assorted Thoughts and Observations Regarding the Just-Announced iPad)
Il keynote di stasera di Apple arriva dopo una lunga serie di eventi simili che hanno contrassegnato la seconda era Jobs dal 1997 ad oggi. L’aspettativa però è seconda forse solo alla presentazione del primo iPhone.
Eppure il copione ce lo si può immaginare facilmente insieme agli eventuali fattori di smorzamento di entusiasmo come disponibilità limitata iniziale, i relativamente pochi contenuti disponibili, immissione sul mercato europeo ed italiano tardiva.
Difatti questi aspetti sono quelli che trattengono noi vecchi utenti dallo spaccare il salvadanaio la sera stessa dell’evento e dall’incollarci ai siti di news (magari anche complice il dover mettere a tavola alla stessa ora due ibabies affamati)
Abbiamo seguito eventi in un’epoca in cui Apple arrancava inseguendo il tradizionale concetto di computer e ricarrozzandolo con l’eleganza e la potenza for the rest of us. Abbiamo passato keynote su keynote a sfatare il mito dei megahertz, a sollazzarci per la collaborazione di nuovi editori di giochi e di una scheda video decente di serie, mentre la concorrenza PC sfornava GPU fumanti macinapoligoni. Ricordo tristemente applausi per una porta firewire sugli iBook (Parigi 2002, se non erro. Del resto i PC manco sapevano cosa fosse, ai tempi).
Era però un’epoca in cui si sperava che il keynote successivo sfornasse l’erede del Newton, una sorta di ipod con schermo e interfaccia firewire (ho il mockup di un improbabile iFire in qualche vecchio mail) e si credeva facilmente a fotomontaggi proprio come oggi. Per questo si perdeva di vista l’evoluzione graduale di una ditta che doveva prima consolidare le fondamenta, sia pur innovando, inseguendo un mercato precostituito, dove un iMac male accolto significava guai seri.
Poi sono arrivati iPod e iPhone, la conquista del mercato PC con iTunes e BootCamp e quindi un’era di liquidità e di nuovo mercato (itunes store, App store) creato da Apple stessa. Da iPhone in avanti Apple ha mano più libera e disegna i contorni dei suoi prodotti e dei suoi servizi. Questo non significa successo automatico, anzi. Piuttosto scrittura delle proprie regole.
E ormai le regole di Apple le conosciamo bene: prodotti ben riconoscibili e interfaccia su tutto. non dimentichiamoci intere sezioni di keynote per un bottone su una finestra del Finder o su un’iApp come iPhoto o iDVD. Ergonomia ed eleganza, mettere in condizioni l’utente di creare, lavorare e divertirsi dimenticandosi quasi dei comandi che sta impartendo alla macchina. Messa a frutto appieno dei building blocks di Mac OS X (OpenGL, Core animation, core audio, etc. etc.). Gentile e fermo allontanamento di chi si discosta dagli utensili ufficiali. E infine calata del prodotto nel mondo reale sullo sfondo di un servizio come iTunes store, dove un utente giovane, sorridente, multirazziale, vestito casual, fruisce del mondo multimediale tutto a portata di dito. L’apoteosi del prodotto olistico, nel bene e nel male, non chiuso ma osservante di regole e componenti che non alterino l’esperienza Apple. Prodotto che prende quel che gli basta dal mondo open source per iscriverlo nel “canone Apple”. Lontano, se non antipodico, al modello Google (con ampie sacche di chiusura anch’esso), un’azienda gestita da ingegneri e non da designer, col focus sulle funzionalità prima che sul “tutto”. Concorrente ideale.
L’attesa c’è anche per noi vecchi utenti, dunque. Apple è vicina alla realizzazione di progettare il personal computing come vuole lei. Speriamo che non ci deluda. Un fatto mi conforta: Apple in genere arriva a darti la feature che manca proprio quando allunghi la mano per cercarla, quando sperimenti qualcosa che vorresti fosse fatto meglio, più elegante, più fluido, più Apple. Io in questi giorni faccio fatica a sfogliare le pagine dei miei eBook sul mio amato e neoarrivato Kindle.
Steve Rubel riprende la metafora dell’idrante
tre anni dopo Gaspar Torriero
Interessante la differenza sul come usare l’idrante:
To mitigate this ongoing trend of streams, communicators will need to: 1) be as ubiquitous as possible, 2) adopt multiple messages, stories and formats and 3) make sure you allow your employees to get out there – in other words, use the force, don’t fight it.
(via Presentation: Communicating in the Age of Streams – The Steve Rubel Lifestream).
Mentre tre anni fa l’attenzione era su RSS e filtri (Google Reader, segnalazione della rete sociale) oggi è sulla molteplicità dei canali e sull’ubiquità.
L’articolo di Repubblica.it di oggi sul ragazzo senza braccia multato in treno sta facendo il giro della blogosfera.
Ho letto l’articolo stamattina appena sveglio sorseggiando il caffè e ne sono uscito col magone, immagino come sarà successo a molti dei 600 commentatori.
C’è tutto in quell’articolo: il dramma dell’handicap, l’Italia dell’indifferenza, la burocrazia delle ferrovie e quella della polizia. Materiale su cui riflettere a lungo.
Tuttavia vorrei gettare un piccolo seme del dubbio, e lo faccio da persona che detesta la burocrazia, ha dato un anno della propria vita (forse il più bello) agli handicappati e che odia l’indifferenza.
Quell’articolo è prima di tutto un racconto la cui chiave sta nell’ultima frase
L’autore è scrittore ed editore
Una fotografia, una bellissima fotografia. Profonda come quelle in bianco e nero a grana grossa, come un ritratto di Cartier-Bresson. Una rappresentazione della realtà, non un resoconto della realtà. Altrimenti non sarebbe stata così toccante.
Tuttavia se lasciamo da parte i sentimenti e ragioniamo come avrebbe fatto, per esempio, Poirot e le sue celluline grigie troviamo subito degli interrogativi che necessitano di risposte: il ragazzo senza braccia viaggia abitualmente su quella tratta? E’ conosciuto al personale delle FS o ha preso il treno all’ultimo minuto solo in quell’occasione? Se fosse una scena già vista si spiegherebbe il comportamento del personale viaggiante (scortesie a parte). Se viaggiasse abitualmente saprebbe come chiedere assistenza alla stazione e comprare il biglietto per tempo. Perché nessuno degli astanti (compreso lo scrittore) ha fatto il gesto di pagare la sanatoria mettendo i soldi che mancavano? Anche i passeggeri conoscevano il viaggiatore? Avevano già visto la scena? Oppure sono al corrente che il personale viaggiante è capace di ritorsioni? E quali?
La verità non ha mai una sola faccia. Scaviamo sotto la superficie: vorrei chiedere a Repubblica se ha inviato un giornalista alla stazione di Bari, se hanno chiesto un’intervista con le FS, se, dopo l’episodio (increscioso e toccante, non lo sminuisco certo) comincia un paziente factcheck.
Siamo nel Belpaese in cui la gente non si parla, non si fa domande ma guarda e passa.
Allora cominciamo ad usare il cervello e a farcela qualche domanda.
Mi piace perché non è una cosa mia, ma di tanti, e questo mi fa ricordare quando qui scrivevamo non per metterci in mostra cercando un lavoro o una vetrina o un quarto d’ora di celebrità , ma per l’urgenza e il divertimento e il piacere di farlo – e mi piace illudermi che almeno una volta all’anno questo sia ancora possibile.
Mi piace perché c’è gente, e non poca, che racconta un pezzo di sè. E lo fa senza recitare, senza romanzare, cercando con impegno le parole giuste. Trovandole.
(via Squonk » And… we’re back! (PslA strikes again, 2009 version: “Hop Hop Hop”))
E’ appena uscito il Post Sotto l’Albero 2009, una annuale creazione a più mani portata a termine a suon di frustate da Sir Squonk, che sopporta ritardi, ripensamenti, correzioni come nessun editor saprebbe fare senza farti inseguire dai cani affamati.
Grazie, Sir, mi associo a tutte le sue ragioni, da leggere per intero [meglio se con Readability :-D].
Il nostro post è firmato da entrambi i Bolsi (*), perché confezionato come omaggio natalizio di Bolsa Sit-Com a chi ci sopporta in rete. In realtà il racconto è un pezzo di bravura di Daria che ha aggiunto un’altro tassello alla storia di Cesare.
(*) Dovremo deciderci a mettere qualcosa in home page, a questo punto.
Sono giorni caldi per la storia d’Italia. Un tantino e via. La mia frequentazione dei quotidiani online è decisamente aumentata e di conseguenza è stata messa a dura prova la mia sopportazione per l’impaginazione da portalone anni ’90.
Dopo la geniale trovata di impadronirsi dell’intero sfondo del giornale la novità di oggi delle fervide menti dei creativi del web ha partorito un banner a espansione che si allarga fino a metà pagina per poi chiudersi da solo, una volta assicuratosi che di prima mattina ti sia venuta voglia di fare snowboard con un’auto nuova (o almeno così ho capito io prima del primo caffé):
Oggi piuttosto che leggere avrei chiuso il browser se da qualche mese non avessi avuto una comoda bookmarklet
che mi trasforma la pagina di Repubblica in quella di un ebook:
Leggere dovrebbe essere un diritto, e proprio ad un articolo Pennachiano di A List Apart in difesa del lettore, arc90 ha risposto con un esperimento chiamato Readability.
Si tratta di un javascript che, istallato come bookmarklet, analizza la pagina che stiamo leggendo e la riformatta secondo le nostre indicazioni per trasformarla in una pagina elegante e comoda da leggere.
Readability è un gioiellino di programmazione web, funziona egregiamente su pagine che hanno un evidente contenuto principale di testo (è inutile su tutte le home page, per intenderci) ed elimina tutto il rumore di fondo costituito sia dalla pubblicità sia dalla cattiva impaginazione, ostinatamente reminiscente dell’impaginazione su carta.
Istallato per fare una prova dopo la segnalazione di John Gruber non riesco più a farne a meno: funziona egregiamente sui maggiori quotidiani (Repubblica, il Corriere, la Stampa, l’Unità , curiosamente non va sul Giornale), praticamente su tutti i blog di WordPress e Blogger.
Punto Informatico è tornato un piacere da leggere, quasi com’era nel 1996. Niente più banner lampeggianti a metà articolo.
Fin qui il dato tecnico. Dopo qualche mese di uso una riflessione sul concetto di lettura online mi è venuta a galla. Prima di tutto la comodità percettiva: forse è l’età , forse la maggiore disponibilità di grandi monitor ma io mi trovo molto meglio con i font ingranditi ed eleganti; l’occhio più riposato, il senso estetico appagato, riesco a concentrarmi meglio su quello che leggo. La mia soglia di distrazione si è pericolosamente abbassata e così come non sopporto i rumori intorno a me, basta un titolone sparato o un richiamo di spalla per spostarmi l’attenzione.
Il secondo punto è proprio l’attenzione: più il web sposa la personalizzazione del contenuto, l’andarsi a procurare ciò che si desidera nella forma che si desidera e più l’attenzione diventa una “merce” delicatissima. Purtroppo questa merce viene contesa a suon di urli dai messaggi pubblicitari. Il cervello riceve, tramite occhio e orecchio (su web come sulla tv), degli strattoni continui e sempre più forti. In televisione il cervello sta sul binario del palinsesto e della diretta, su carta sta su quello dell’impaginazione ma sul web passeggia per i fatti suoi.
Sul web quel che conta è l’interesse, non l’attenzione.
L’interesse è duraturo, l’attenzione è momentanea: se catturi quest’ultima col tuo banner elastico e lampeggiante, a breve termine la ottieni ma a lungo termine ottieni il mio fastidio, ovvero il mio interesse negativo. Su questo i pubblicitari del nuovo millennio dovrebbero ripensare le loro strategie.
Spazzare via l’impaginazione non è un attacco o denigrazione vero chi pubblica contenuti, anzi: è un atto di rispetto e interesse, appunto. Se ti leggo, ti voglio leggere con calma, a modo mio, ripago con il mio tempo e la mia concentrazione la fatica che ci hai messo a scrivere. Se il contenuto è buono questo meccanismo di feedback virtuoso si innescherà da sé. E questo vale per i miei blogger preferiti, per gli editorialisti preferiti e anche per i notizie che “tocca” leggere.
Make good products.