Splendidi vent’anni

Gran bel post di Dania, da gustarsi lentamente come il vino buono.

Passavamo ore al caffè in campo dei Frari, tra una lezione e l’altra, a emozionarci per quelle parole che sembravano fatte per noi, dette da noi, scritte proprio come se nella penna ci fossero stati i miei capelli neri neri e i suoi occhi grigi.

(Via malafemmena » Le parole tue.)

Tipi che non temono l’extreme programming

cr-48.jpg

Il pezzo di repubblica.it sul notebook con Chrome OS Cr-48 di Google non è male, tecnico il punto giusto, divulgativo il punto giusto, descrittivo il punto giusto.

Che ci fa allora una frase come questa?

Il Cr-48 è stato infatti concepito per vivere esclusivamente su internet e per dominare la grande nuvola di codici binari che sovrasta le nostre vite moderne.

E quest’altra, che segue un paragrafo ben scritto sulla dotazione software basata sulle Google Apps?

Il Cr-48 è un computer spartano, c’è poco da dire. Chiaramente un prototipo, un oggetto che è stato concepito per essere smaneggiato, è stato disegnato per essere usato dai developer d’assalto, gli sviluppatori di software. Tipi che non temono l’extreme programming, dove la codifica ha luogo tra una seduta di skateboard e l’altra e i diagrammi di flusso li si possono anche disegnare su una tavola di surfing mentre si torna dal mare.

Mi viene in mente Gianluca che disse (o forse scrisse su FF) “per me non c’è Mac OS o Win OS, ma c’è solo il web. Mica solo lui in questo quadro sarebbe un surfista developer d’assalto: molti utenti web nostrani, siano essi hacker professionisti o digiuni totali di tecnologia non si farebbero scrupolo di conversare su friendfeed, twitter, gmail, tumblr e tutti gli altri socialcosi da un netbook di Google. Lo fanno dall’iPad (si sono ormai fatti una ragione dell’assenza di porta USB) e da un MacBook Air vuoi che non lo facciano da un netbook?

O fai un pezzo di colore sul lifestyle tecnologico californiano o mi descrivi le tue impressioni sul nuovo notebook, cosa va e cosa non va delle sue caratteristiche tecniche.

I grandi scenari, quelli che fanno titolo sui giornali, non mi informano. Voglio sapere cosa può fare per me l’oggetto (infatti ho accolto l’invito di Google a provarlo), non se il contesto in cui vivo è sociologicamente adatto all’oggetto stesso.

Se mai Google mi farà provare il Cr-48 dovrò correre a noleggiarmi una tavola da surf, uno skateboard e fare il fenomeno in centro a Bulàgna.

Update: non sono il solo ad aver notato le metafore: Lega nerd, Anidride Carbonica e molti altri.

Stretti stretti sotto l’albero

Post sotto l'Albero 2010

Sono stato anch’io tentato di pubblicare il nostro post sotto l’albero qui sul blog ma alla fine rende vano il piacere di scartare il pacchetto e non rende giustizia al lavoro del Sir nel confezionarlo. Grazie Sir, stasera sappiamo cosa leggere. Grazie a tutti per esserci stati.

Così, per rendermi conto della dimensione del fenomeno e del significato di tanti (blog)amici sotto l’albero ho scelto l’immagine dell’indice. Tre pagine fitte fitte di 135 postpacchettini.

Buon natale, compagni di viaggio.

Non ha prezzo

I can use Visa and Mastercard to pay for porn and support anti-abortion fanatics, Prop 8 homophobic bigots, and the Ku Klux Klan. But I can’t use them or PayPal to support Wikileaks, transparency, the First Amendment, and true government reform.

(via Just saying « BuzzMachine via Mante)

Wikileaks – E’ difficile stabilire con certezza

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti.

Il mondo è in ebollizione per le rivelazioni di wikileaks e non c’è tanto tempo per fare una scheda su dove si trovino i server, nemmeno quello per cambiare le frasi copiaincollate.

Comincio il giro da Repubblica.it che ci adorna le foto del bunker Pionen:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks. Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”.

(via Foto Svezia, nel bunker dei server di WikiLeaks – 1 di 13 – Repubblica.it)

Proseguiamo con l’Unità.it che ci fa una schedina senza foto:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: e’ li’ che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entita’ giuridica collegata a Wikileaks. Del resto, e’ proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondita’ a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, e’ “Pionen White Mountains”. Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito e’ sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet. Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda pero’ a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Wikileaks, il mistero sui server che fanno tremare il mondo – Mondo – l’Unità.it)

Stesso testo per Rainews24.it:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti.

Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks.

Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda.

I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”.

Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito è sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet.

Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda però a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Mistero sui server che fanno tremare il mondo – Rainews24.it)

Forse che sia un’Ansa?

ROMA- E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: e’ li’ che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entita’ giuridica collegata a Wikileaks. Del resto, e’ proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange.

I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondita’ a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, e’ “Pionen White Mountains”.

Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito e’ sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet. Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda pero’ a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Wikileaks: mistero su server che fanno tremare mondo – Mondo – ANSA.it)

No, forse è dell’Unione Sarda:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti. Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks.

Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda. I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”. Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito è sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verità al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet. Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet del sito principale, rimanda però a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Il mistero sui server che fanno tremare il mondo – Nel Mondo – L’Unione Sarda)

Interessante scoop anche per i Bambini di Satana:

E’ difficile stabilire con certezza dove si trovino i server che fanno “tremare” il mondo della diplomazia in queste ore, quelli dove Wikileaks piazza i suoi documenti segreti.

Alcuni ritengono che l’ultima pubblicazione, i file del Dipartimento di Stato Usa, sia ‘ospitata’ nella fredda Islanda: è lì che a inizio mese Assange ha registrato la Sunshine Press Production, prima entità giuridica collegata a Wikileaks.

Del resto, è proprio in Islanda che vive Kristinn Hrafnsson, portavoce del sito, e di fatto numero due di Assange. I documenti iracheni resi noti a fine ottobre, si trovano invece con tutta certezza in Svezia, all’interno di un ex bunker atomico costruito durante la Guerra fredda.

I server sono collocati nel centro dati della Bahnhof, uno dei maggiori provider svedesi, a 30 metri di profondità a Stoccolma, separati dall’esterno con porte da 40 cm di spessore, all’interno del quale Wikileaks ha affittato alcune macchine. Il nome in codice della struttura, originariamente gestita dai militari e predisposta per resistere all’esplosione di una bomba all’idrogeno, è “Pionen White Mountains”.

Poi ci sono i pirati svedesi, che in agosto hanno concluso un accordo con l’australiano per ospitare alcuni documenti. “Il sito è sotto costante minaccia di essere sabotato da organizzazioni corrotte o illegali che cercano di nascondere la verita’ al pubblico”, disse Rick Falkvinge, leader del Piratpartiet.

Una ricerca sull’ip, l’indirizzo internet, del sito principale rimanda però a un provider francese, dopo una serie di triangolazioni con Francoforte. E il mistero su dove si trovino i server rimane.

(via Mistero sui server che fanno tremare il mondo)

Smetto qui e vi lascio continuare il gioco con Google.

Non mi pare però un bel modo per iniziare il giorno che cambiò l’informazione, quello che secondo le intenzioni di questo bell’editoriale di Repubblica, lancia una nuova sfida sia ai cittadini internettiani che ai giornalisti:

[…] gli operatori professionali dell’informazione avranno il compito di “confezionare” al meglio i file rivelati, renderli il più “leggibili” possibile e, soprattutto, con un lavoro di grande qualità, scavare negli archivi e nella memoria per collegare e spiegare fatti e misfatti che quelle carte certamente collegano e spiegano purché qualcuno sappia metterci le mani con perizia.

(via Il giorno che cambiò l’informazione – Repubblica.it)

Sui tetti con le parole di Sergio

Fargli un monumento » Sergio Maistrello: Ma io mi ostino a pensare che questa protesta, geniale e coinvolgente, degli studenti che si prendono i luoghi simbolo d’Italia non sia tanto contro questa riforma e contro questo governo. Quelli sono il pretesto, la notizia buona per i titoli del tg. La scintilla che innesca. Mi piace invece pensare che stiano protestando per lo sfascio, per l’arroganza, per il cinismo, per la miopia che gli ultimi venti o trent’anni di storia italiana, con governi di ogni colore, hanno riservato loro. Per lo stato in cui è ridotto l’intero sistema della formazione nazionale, per la precarietà degli edifici, per la prostrazione degli insegnanti, per la tristezza delle ultime riserve di potere, per il tedio dell’ennesima riforma che sai già destinata a impoverire ancora. Per lo spettacolo disonorevole di questi anni. Mi piace pensare che questi esuberanti giovanotti abbiano trovato il coraggio, la motivazione e l’intuizione per fare quello che noi ex-studenti sfuggiti per un soffio al collasso, noi genitori che portiamo a scuola la carta igenica per i nostri figli, noi adulti tramortiti al pensiero dell’eroismo quotidiano che ci sarebbe richiesto, non siamo stati capaci di fare: ritrovare dignità, alzare la voce, riprenderci – almeno simbolicamente – ciò che ci spetta. Per questo trovo quei monumenti occupati un’immagine potente come non se ne vedevano da anni. Per questo auguro a tutti noi che non si stanchino o non siano distratti troppo presto. E per questo, come altri in queste ore, penso che su quei monumenti dovremmo esserci anche noi.

Ho già condiviso le parole di Sergio stamattina ma rileggendole sul post di Massimo ho scelto anch’io di ribloggarle in toto.

Perché le parole sono importanti e nell’essere lette è la loro forza.

Perché la forma è sostanza e il periodare di Sergio in questo post è la perfezione.

Perché quando qualcuno estrae dalla tua testa il tuo stesso pensiero da giorni incapace di uscire gli devi come minimo un caffè, meglio un abbraccio, per ora un post.

Il futuro cartaceo dei quotidiani online

A casa mia sono entrati 3-4 quotidiani da quando ho memoria ovvero da circa 40 anni.

I miei genitori ormai ottantenni continuano a comprare 2-3 quotidiani nonostante siano stati discretamente alfabetizzati su internet dal sottoscritto con iMac (da anni) e iPad (da qualche mese). Ci sentiamo addirittura via ichat e skype, nonostante ci separino soli 600 metri.

Eppure, le mie vittime i miei allievi informatici preferiti continuano a farsi tenere il supplemento tuttolibri dal giornalaio, a procurarsi il giornale di ieri che c’era un fondo tanto bello, a richiedere i DVD arretrati.

Io ho sempre avuto un’allergia per questo fiume di carta e soprattuto per il modo in cui è scritta (ma su questo vorrei tornare più avanti). Fatto sta che io seguo le notizie solo online e loro quasi solo su carta e naturalmente ce le segnaliamo a vicenda.

Ieri sera sosta veloce a riprendere i bimbi. Mia mamma dice che c’è un giallo sulle parole del Papa sui preservativi, un errore di traduzione. Io la fermo: c’è una bella analisi sulla notizia del Papa e preservativi sul Post. Prendo il suo iPad e le mostro la pagina web.

Segue domanda: cos’è il Post?

Rapida spiegazione sul quotidiano online di Luca Sofri, lo stile non urlato, l’analisi comparativa con la citazione di più fonti, la possibilità di farsi un’idea al volo su cosa dicono gli altri giornali e siti.

Un severo sguardo paterno accompagna la domanda finale: sì ma… queste “pagine”… si possono stampare?

Medito a lungo su Giornalismo e nuovi media, la crisi dei quoditiani, l’accumolo di carta poi rispondo, semplificando: tutte le pagine web si possono stampare…

A splendid time is guaranteed for all

Tra 60 minuti Apple svelerà il mistero dietro l’annuncio che ha oscurato 21 home page dei suo siti nazionali. (con due traduzioni diverse per la parte italiana).

Secondo il Wall Street Journal Il catalogo dei Beatles dovrebbe sbarcare su iTunes, secondo molti si tratterebbe di un iTunes on the cloud.

Ai Beatlesiani come me batte forte il cuore, anche se abbiamo al sicuro nell’armadio i vinili originali, i CD originali degli anni ’80, le Antologies, i CD rimasterizzati dell’anno scorso e relativi file audio importati in iTunes.

Tutti gli altri stanno dicendo “embe’, tutto qui”?

A costoro, specie a quelli cui manca un enzima, come dice Roberto, vorrei spiegare qualcosa.

Essere Beatlesiani non è una scelta, è una malattia.

Si viene contagiati senza neanche accorgersi. Al contagio segue una sfrenata, felice, allegrissima dipendenza che non finisce mai.

Un Beatlesiano ascolta una canzone, una porzione di canzone, un accordo come un amante della montagna non smette di guardare la sua vetta preferita in una giornata di sole.

Un Beatlesiano d’annata non è un più un fan adolescente, non gliene frega niente del pettegolezzo inedito ma è capace di eccitarsi per qualunque cosa faccia rivivere il suo sogno, quel sogno durato poco meno di un decennio e mai vissuto di persona.

Per un Beatlesiano i Beatles non sono un gruppo musicale qualsiasi, non sono neanche i rivali dei Rolling Stones, non li paragona a nient’altro. Sono una passione pura e semplice. Un pezzo di storia della musica, un’ininterrotta cascata creativa.

Per un Beatlesiano il treno di A Hard Day’s Night non si è mai fermato e lo Yellow Submarine naviga ancora tra il Mare dei Mostri e il Mare dei Buchi.

Un Beatlesiano che sia anche malato di Apple da 20 anni ha due passioni parallele, anzi due malattie parallele. A lungo vi ha trovato affinità e a lungo si è crucciato nel vederle contrapporsi a suon di tribunali.

Difatti il Beatlesiano Applemaniaco sa che neanche un sonnambulo confonderebbe la mela verde con la buccia dei Beatles con la silhouette monocolore di quella di Apple, Inc. e sono anni che spera che si mettano d’accordo, ellamiseria.

Il Beatlesiano ha sempre sorriso quando cambiava i suoni di sistema e sceglieva sosumi.

Il Beatlesiano Applemaniaco si ricorda quando presentando il primo iPod Steve Jobs ha suonato uno dei due brani scelti da A Hard Day’s Night.

Il Beatlesiano Applemaniaco gioirà, se fra 40 minuti vedrà i ragazzi su iTunes perché due pezzi del suo puzzle del cuore andranno insieme. E magari deciderà di svenarsi di nuovo se proprio proprio ci fosse qualche nuova bonus track.

Perché il sogno, digitalizzato, avrà un nuovo sussulto di vita.

Apple dice addio agli XServe

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You don’t think Apple is filling that North Carolina data center with Xserves, do you?

(Via Daring Fireball Linked List: James Gosling on Apple’s Java Discontinuation.)

Letta la notizia sulla morte degli Xserve Mi è tornato subito in mente questo commento di John Gruber a proposito della dismissione del supporto Java su Mac OS X.

Dopo averne decantato le lodi come supercomputer e come stazione per il rendering video di Final Cut Pro e per lo streaming QuickTime ora fa silenziosamente scomparire la tecnologia hardware e rende meno evidente Mac OS X server (secondo alcuni verrà incorporato in Mac OS X 10.7 Lion). Già ora non esiste più la pagina dedicata a QuickTime Streaming Server, ridotta ad un paragrafetto sulla pagina QuickTime and beyond cui si viene rediretti.

Al di là di cosa voglia vendere all’utenza, mi chiedo su quale infrastruttura tecnologica intenda costruire la futura “Apple on the cloud” che appare in evitabile per svincolare iPhone e iPad dall’attivazione di iTunes e dalla gestione centralizzata dei contenuti acquistati.

Gli attuali streaming video HTML5 degli Apple special events da che tipo di server vengono erogati? Con quali batterie di macchine vengono renderizzati i video? Non vorrete farci credere che avete rack di Mac Mini Server e di ingombranti MacPro migrati seguendo le istruzioni ufficiali?

Secondo me questo è il primo passo di un cambiamento profondo infrastrutturale.

Gruber, what did your little birdie told you this time? 🙂

Milena Gabanelli e la maledizione della doppia B

MilenaGabanelli.jpg

Mettiamo subito in chiaro che Milena Gabanelli ha ben altri guai a cui pensare, derivanti dal suo ottimo lavoro d’inchiesta e dalle reazioni che questo scaturisce.

Però su questo blog siamo un po’ fissati con ortografia, pronuncia e dizione giacché chi parla male pensa male e il rispetto della lingua italiana è una cosa importante che aiuta a mantenersi sani di mente. Colpito da twit con la doppia B ho deciso di fare qualche ricerca sistematica:

Gabbanelli su Twitter anima due schermate di hashtag sbagliati (#gabbanelli) o locuzioni come Report della Gabbanelli.

Gabbanelli su Friendfeed è più interessante perché aggregando fonti diverse rivela per diverse schermate errori di singoli utenti, commentatori, news giornalistiche, hashtag, agenzie di notizie che rilanciano blog.

Milena Gabbanelli su Liquida: promuove tra le persone riconosciute (“people”) il nome e cognome farlocco con tre schermate di risultati, complici le sgrammaticature dei blogger.

Analogo risultato per Milena Gabbanelli su BlogBabel che la indicizza aggregando nome e pseudo-cognome diventati tag dei suoi blog.

Nessun risultato su BlogNation (no permalink: scrivete a manina “Gabbanelli” nella casella di ricerca per verificare). Strano, che filtrino gli sgrammaticati? 🙂

Mi chiedo a questo punto se i risultati che spuntano dalle testate giornalistiche siano agganciati dai commenti degli utenti pieni di citazioni errate Gabbanelli. No, evidentemente le redazioni romane hanno la loro influenza nel raddoppio della labiale B:

Il sole 24 ore Argomenti incespica sulla Gabbanelli con Report a tutto gas. Si trovano anche due risultati dalle banche dati non visualizzabili se non si è abbonati al servizio.

Su Repubblica.it una ricerca dalla home page riporta una dichiarazione di Saccà del 2002 ma per altre vie spunta un’ultimora del 15 settembre 2009 e altri 16 articoli dall’archivio di cui 14 citano Milena Gabbanelli o Report della Gabbanelli.

Sul sito del Corriere solo due risultati: uno sul ponte di Capodichino a Napoli (ma è il Corriere del Mezzogiorno e la pronuncia raddoppiata della B singola è comprensibile) e un’altro su RAI per una notte di Santoro.

L’unita.it ha un solo risultato sul sito (Report in onda senza tutele – 2009) ma 13 risultati sul quotidiano in PDF, distribuiti fra il 2003 e il 2010.

La Stampa di Torino non avrà sicuramente problemi di pronuncia. Errato: una ricerca di Gabbanelli sull’archivio cartaceo (anche qui no permalink) produce 10 risultati dal 1992 ad oggi di cui 7 riferiti a Report o a Milena Gabbanelli.

Il Post può vantare il risultato di Nessun Articolo presente per Gabbanelli almeno nei suoi contenuti ma se scateniamo Google su IlPost abbiamo 7 risultati di cui 5 validi dovuti alla disattenzione dei commentatori (il che mi suggerisce l’idea di un plugin per WordPress per togliere la doppia B ogni volta che si cita Milena o Report).

A questo punto se apriamo le maglie della ricerca e lasciamo che Google setacci i siti dei quotidiani, indicizzando commenti e ogni altro elemento extra della pagina otteniamo 101 risultati per il Corriere.it, 43 per Repubblica.it, 60 per lastampa.it, 55 per l’unita.it e 15 risultati per il sole24ore.com. Si tenga presente che una volta aperta la pagina di alcuni risultati la parola Gabbanelli potrebbe non comparire per svariate ragioni: ad esempio la pagina è dinamica e c’era un titolo che scorreva al momento del passaggio del Googlebot.

Il fenomeno è interessante: dato un errore mentale molto comune e geolocalizzato, se questo errore si aggancia ad un nome piuttosto noto, in presenza di un picco di citazioni del nome noto si impennano anche le citazioni della sua versione errata. E’ uno di quei casi in cui la funzione di edit dei commenti come quella di friendfeed è un toccasana.

Coraggio, Milena a me raddoppiano la C da una vita e attenta che la Gabbanelli Accordions non ti faccia causa dal Texas per uso improprio del marchio! 🙂

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