Invece mia figlia studia Assurbanipal nel 2013; e usa un libro di carta. Punto. Non arriva da me con una raccolta su Pinterest di dieci immagini della Mesopotamia; non ha preparato con i suoi compagni lo storify multimediale della lezione. Non colloca Ninive su Google Maps, non stanno ricostruendo le mappe del 1230 avanti Cristo, cercando di collocare anche il resto del mondo: dove erano gli antenati dei suoi compagni cinesi, senegalesi, peruviani?
Io ascolto mia figlia declamare la lezione, che le frutterà l’ennesimo nove; la guardo sorridermi con la sconfinata bellezza dei suoi nove anni, felice di aver restituito Assurbanipal alla storia e di poter passare ad altro. Ai suoi giochi sul tablet, alla sua maschera da sci hi-tech, al cartone Pixar full HD.
Lo splendido racconto di Kisbo, da leggere tutto specialmente nel finale, rimarrebbe solo un aneddoto sull’arretratezza della scuola italiana se non avessi anch’io un figlio coetaneo che studia le stesse cose.
Certo, la distanza fra lo studio sulla carta e quello sulla rete è abissale. La scuola sembra ancorata a ritmi e riti di un altro millennio. Tuttavia non me la sentirei, dovessi mai avere la bacchetta magica, di spostare la leva della scuola su avanti tutta verso il digitale: l’esperienza di lavorare sulla lentezza, la resistenza e lo stimolo immaginativo della carta non ha eguali. Fare un disegno, sbagliarlo e doverlo cancellare con la gomma è una fase propedeutica e necessaria allo sfogare la creatività su Paper.
È una mia fissa da vecchio brontolone: prima si impara a nuotare al naturale e poi si mettono le pinne. Se impari ad agire “potenziato” la volta che devi agire al naturale sei perso.
Ciò detto quell’abisso fra libro e multimedialità iperconnessa andrebbe quantomeno ridotto avvicinano i due estremi. Facciamo faticare i nostri figli su libri e quaderni ma poi diamogli uno straccio di filmato, di modello 3D, di galleria di immagini, di approfondimento su wikipedia.
Diamo loro la naturalezza di passare dalla carta al digitale. In entrambe le direzioni.
“Io ascolto mia figlia declamare la lezione, che le frutterà l’ennesimo nove; la guardo sorridermi con la sconfinata bellezza dei suoi nove anni, felice di aver restituito Assurbanipal alla storia e di poter passare ad altro. Ai suoi giochi sul tablet, alla sua maschera da sci hi-tech, al cartone Pixar full HD. Io guardo il fuoco nel camino e la neve che cade fuori; e rifletto, su quante cose intelligenti si potrebbero fare, su come si potrebbe riconnettere la scuola con la realtà .”
Faccio l’insegnante di sostegno per bambini con difficoltà nell’apprendimento, familiari ed economiche e per quanto comprenda e concordi pienamente circa le ragioni di fondo della necessità di un’evoluzione strumentale della scuola, trovo la suddetta rappresentazione – specie nel cinematografico passaggio dello sguardo al camino – di uno snobismo piuttosto fastidioso. Che poi dopo averci tessuto le lodi di tablet, app e map, avere un analogicissimo camino (che brucia alberi) mi sembra giusto un filino ipocrita.