Sono contrario al matrimonio e basta: che sia etero o gay. Sono contrario, cioè, all’assurdità per cui in Italia debba esistere un solo tipo di contratto matrimoniale – perché un matrimonio è anzitutto un contratto – quando al mondo non esiste solo l’unione di due persone con l’obiettivo della progenitura: esiste un mercato di affetti e relazioni che avrebbe bisogno di un ombrello giuridico per uomini e donne, conviventi, non conviventi, giovani o vecchi che vogliano tenersi compagnia o anche solo dividere le spese, eccetera. Assistere un partner malato, lasciargli un’eredità o la pensione, persino visitarlo in carcere od organizzargli i funerali: tutti diritti negati (in Italia) che non c’entrano niente col matrimonio gay o con l’adozione dei figli.
Eravamo quattro genitori al bar e bevendo il solito cappuccio di soia commentavamo su quanto ci stesse stretta l’idea di matrimonio come unica forma di coesione sociale.
Dei quattro due erano sposati da poco, due (ancora) no, tutti e quattro con figli plurimi abbiamo portato avanti una nostra idea di famiglia.
E ci raccontavamo di zie sposate per interesse, di padri denunciati due volte dal proprio figlio e di altri elementi a sostegno dell’idea che il matrimonio, da solo, non garantisce una beata fava.
Sono le persone a fare la società, non le etichette. Purtroppo, per avere il beneficio di una protezione legislativa, occorre appiccicarsi una sola etichetta.
Nel nostro caso l’etichetta è un vestito che ci va comodo e può far piacere indossare, non sono mica un oltranzista. E’ l’obbligo collettivo, la gentile pressione del legislatore sulla società a sposarsi che non mi trova d’accordo. A me costruire una famiglia è andata bene e mi è piaciuto (e mi sta piacendo un sacco, potrei anche sposarmi, ora che ci penso 🙂 ). Chi ha detto che è una strada che debba andare bene a tutti e soprattutto funzionare per tutti?
Raramente mi trovo d’accordo con Facci, ma il suo post di stamattina A tempo indeterminato ne ha fatto il quinto amico al bar.