25 aprile fuori dallo schermo

E’ tutto il giorno che penso a questo post, dapprima perché stamattina il DB di wordpress era inaccessibile e mi sono dovuto limitare a creare in fretta il bannerino che vedete in alto nella pagina prima di andare alle celebrazioni. Poi perché da buon bolso è dall’anno scorso che ho promesso foto mai caricate insieme a qualche approfondimento.

Verso sera, quando i bimbi ci hanno lasciato in pace, ci hanno pensato Elena ed eio a ricordarmi che non è necessario fare un trattato di storia della Resistenza ma basta buttare giù i propri pensieri.

Chi ha la mia età alle scuole elementari disegnava carri armati e trincee agognando il pennarello verde militare più somigliante alla realtà, per crearsi sullo schermo di un foglio di carta un filmone degno de La Grande Fuga. Al contempo ci si scaldava a parlare di fascisti e partigiani alla stregua di cow-boy e pellerossa. I pomeriggi si andava alla statua del Partigiano in piazza a Parma e da più grandi si andava a vedere film come l’Agnese va a morire. L’abbiamo bevuto col latte negli anni ’70 il senso di vicinanza di quei fatti, delle ferite appena rimarginate, i ricordi ancora freschi. Poi si cresce, si fa sedimentare il tutto e si ripescano altri film, tra cui i due che citavo l’anno scorso: Il Generale della Rovere e Tutti a Casa.

Le battute finali di quei film rappresentano il senso di questa giornata, anche se storicamente avvengono ben prima: la discesa nell’inferno beffardo della dittatura, della guerra assurda in cui l’Italia si era andata ad arenare si ferma quando si tocca il fondo. Il fondo della sofferenza, delle atrocità naziste, di morte e distruzione che fanno scattare qualcosa nella testa di molti Italiani. Ci vuole tutto il film per far capire a De Sica/Della Rovere cosa stanno passando i partigiani, andando a morire come uno di loro così come ci vuole tutto il film ad Alberto Sordi per smettere di fare il codardo bonaccione, impugnare una mitragliatrice e darsi da fare perché non si può stare sempre a guardare.

I film possono essere belli, brutti, pallosi, divertenti, retorici, sinceri. Alcuni di loro hanno una marcia in più che viene fuori quando escono dallo schermo. Può succedere con i titoli di testa (tratto da una storia vera), può essere la voce alle spalle di tuo padre che dice “Successe proprio così l’8 settembre; i tedeschi ci sparavano addosso” oppure “sapessi quanto era freddo l’inverno del ’44”, può essere – per le generazioni più giovani – il colpaccio di Spielberg che fa sbucare dal bianco e nero al colore gli Ebrei di Schindler oggi e li fa andare a deporre pietre sulla sua lapide.

Se il 25 aprile si va in Piazza Nettuno a Bologna, le migliaia di faccine del sacrario escono dallo schermo e ti ricordano che sono messe lì perché quello era un posto di fucilazioni di partigiani chiamato sprezzantemente “luogo di ristoro per ribelli” con tanto di striscione. Se giri la testa nella giornata di sole vedi che i pochi partigiani rimasti sono vecchi e stanchi e hanno biosogno di noi. Se torni a guardare le faccine scopri i dettagli, le foto della liberazione, i numeri esatti di quanti sono morti, i nomi e i cognomi che poi sono tra i più comuni a Bologna. Se hai voglia di conoscerli il sito della Certosa ha una sezione multimediale dedicata presentarteli uno per uno. Così scopri, tanto per fare un esempio, che Irma Bandiera non è solo una via alberata ma una giovane donna torturata e accecata quindi abbandonata davanti al Meloncello. E non aveva parlato.

Se ti avanza un po’ di tempo puoi allungarti fino al al Parco dei Cedri, alle porte di San Lazzaro, dove puoi scegliere tra il Parco Memoriale della Libertà, il cimitero dei Polacchi e quello degli Anglosassoni. Quest’ultimo in particolare è un’esperienza toccante: tombe bianche in fila, con date di nascita, morte, grado militare e corpo di appartenenza. Forma e dimensione della lapide identiche senza distinzione di grado o religione. Colpiscono i numeri: giovani di 18 e 20 anni, volati dall’Australia fino a qua per toglierci dai guai insieme ai nostri Partigiani. Numeri bassi per età numero alto di lapidi. Sono morti a palate, basta un’occhiata per capirlo.

Ma il 25 aprile è soprattutto una festa. E’ la sua magia: essere il simbolo della rinascita dopo lo sfacelo e di un nuovo inizio. Vai in piazza, assapori il ricordo vivo nell’aria anche se non hai vissuto i fatti direttamente, abbozzi qualche parola di spiegazione ai pargoli, ti giri e incontri vecchi amici con relativi pargoli (ci voleva il 25 aprile per rincontrarsi); applaudi quando passano le bandiere, applaudi più forte ai gonfaloni pieni di medaglie sostenute da un vecchio curvo sull’attenti; ti fai mettere il patacchino della Resistenza dal Partigiano al banchetto ANPI e ascolti la voce tremante del Partigiano che parla dal palco presentando l’ospite dell’esercito polacco che entrò a Bologna il 21 aprile 1945. Altra faccina che esce dallo schermo.

Andare in piazza il 25 aprile è il minimo che si possa fare. Ponte e ferie possono aspettare i giorni successivi. Basta poco a fare ciao con la manina alle faccine che escono dallo schermo. Se siamo qui lo dobbiamo a loro.

Buon 25 aprile a tutti.

P.S. il bannerino rimarrà fino al primo maggio, come faccio con il suo cugino di carta preso al banchetto ANPI che tengo sul lunotto posteriore della macchina. Per chi lo volesse basta cercare id=”ribbon” nel codice. il CSS è incorporato.

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2 commenti

  1. 🙂

    (a 18 anni feci il discorso del 25 aprile in piazza, e da allora non ho altre parole.. non so perchè.. forse perchè tra il pubblico c’era mio nonno che piangeva come un’aquila..)

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