zeldman.com ha compiuto 20 anni. Jeffrey Zeldman, pioniere e profeta degli standard web, coglie l’occasione per dare un lungo sguardo indietro al cambio di abitudini indotto dal cambio di tecnologie. Di tutto il lungo pezzo mi ha colpito questo passo:
Today, because I want people to see these words, I’ll repost them on Medium. Because folks don’t bookmark and return to personal sites as they once did. And they don’t follow their favorite personal sites via RSS, as they once did. Today it’s about big networks.
Oggi tutto ruota intorno alle grandi reti, intese come grandi infrastrutture di servizi: grandi community, grandi pubblicazioni massificate.
Una volta credevamo di abitare in piccoli quartieri di casette monofamiliari invece oggi ci ritroviamo incasellati nei grattacieli della grande metropoli. Possiamo ancora abitare nel nostro blog di periferia ma per partecipare alla vita attiva dobbiamo frequentare il grosso centro commerciale di Facebook, scrivere i nostri pensieri e conversazioni sulla bacheca di Twitter e gli scritti lunghi sulle riviste di Medium. Se vogliamo essere notati o lasciare un segno visibile sulla rete dobbiamo quantomeno ripubblicare i nostri contenuti in casa d’altri. Regalandoglieli.
Questo meccanismo accentratore non ha risparmiato nemmeno la posta elettronica, la modalità di scambio di informazioni decentrata per eccellenza, quella che aveva reso indipendente ogni nodo della rete molti anni fa. Prima di avere tutti un accesso personale ad Internet, nei primi anni 90 eravamo soliti ritrovarci nelle BBS, server raggiungibili solo tramite connessione telefonica che comunicavano tra loro a intervalli regolari scambiandosi messaggi.
Finché ci si parlava sulla stessa BBS si attuava una configurazione “a stella”: tanti utenti si connettevano nello stesso punto depositandovi messaggi pubblici e privati. Al crescere dei nodi della rete di BBS e, successivamente, applicando lo stesso modello ai nodi della rete Internet, la configurazione per lo scambio dei messaggi cambiava: l’utente A si connette al nodo a lui vicino che trasmette il messaggio ad un altro nodo vicino all’utente B. I due nodi possono non avere niente in comune, essere di proprietà diverse e appartenere a reti diverse. Era il bello della rete, la sua intrinseca orizzontalità e democrazia diffusa.
Oggi tutto questo è ancora vero sul piano strettamente tecnico: ci sono ancora moltissimi fornitori e server di posta che si scambiano messaggi in maniera indipendente ma i comportamenti collettivi degli utenti della rete li portano a utilizzare solo i servizi di posta dei grandi colossi: Google, Apple, Facebook. Molto facili da usare, molto seducenti, soprattutto perché “tutti gli usano”.
Sempre dal punto di vista tecnico questi colossi possiedono una moltitudine di server ma dall’utente sono visti come punto di ingresso unico: un cloud, ma non importa come lo chiamiamo. Quando vogliamo mandare un messaggio dal nostro indirizzo Gmail ad un nostro amico che, con tutta probabilità avrà anch’egli un indirizzo Gmail, ci connetteremo ad un server di Google e così lui o lei (o asterisco) si connetterà ad un server di Google per leggerlo.
Di nuovo una configurazione a stella, con un centro un po’ sfumato ma pur sempre a stella. Siamo dipendenti da pochi grandi nodi in mano a pochi grandi colossi.
Un discorso ancora più deprimente si potrebbe fare per i sistemi di messaggistica istantanea e chat che non hanno mai realizzato di fatto una vera configurazione federata ma preferisco tenermelo per un altro post per non rovinarmi questo giorno di ferie.
20 anni dopo (forse qualcosa di più, nel mio caso) ho trovato una rete di tecnologie che va ben oltre quello che mi sarei augurato di trovare ma ho trovato anche una rete fatta di economia, capitali e comportamenti sociali che sembra riprodurre pattern umani preesistenti senza promuovere una vera evoluzione.
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